Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 10 marzo 2012 alle ore 19:49.

Su queste defaillance della presenza della cultura italiana all'estero deve innestarsi il ruolo della nostra diplomazia culturale. Attraverso quali strumenti? A mio parere la rete dei Consolati offre un importantissimo luogo di circuitazione diffusa di iniziative di origine locale, nella comunità italiana, ma anche derivanti da offerte e proposte provenienti dal nostro Paese. Da questo punto di vista un rafforzamento della missione, del numero e della qualità degli addetti culturali e scientifici nei consolati produrrebbe un effetto moltiplicatore della nostra immagine all'estero. In un'ottica di sistema Paese gli addetti consolari sarebbero, inoltre, dei preziosi consiglieri per rafforzare il contenuto culturale delle iniziative commerciali di Ice, Enit e Camere di Commercio.

Cosa rimane allora agli Istituti italiani di cultura? Una funzione principale e una secondaria. La principale è quella di cercare di esprimere la leadership della cultura italiana nell'ambiente dove operano. Ciò può avvenire solo se essi siano portatori di un reale valore aggiunto di temi, originalità, creatività e interlocutori di qualità rispetto all'offerta culturale del loro territorio. L'istituto deve quindi diventare una vera e propria impresa culturale competitiva, capace di far emergere l'eccellenza italiana in settori scarsamente conosciuti, insufficientemente valorizzati o d'avanguardia.

La funzione secondaria è che l'istituto possa diventare il pivot e supervisore strategico della politica culturale dei consolati presenti nel suo territorio di giurisdizione. L'istituto dovrebbe perseguire l'obiettivo di economie di scala e di scopo caratterizzate, però, da una logica di coerenza e da una soglia minima di qualità culturale.
Come potere raggiungere questi obiettivi in un'era di restrizioni economiche della finanza pubblica? Innanzitutto, se è vero che la cultura porta valore aggiunto al prodotto italiano e quindi alla crescita del nostro Paese, come lo fanno altri settori strategici come l'istruzione e la ricerca, allora anche le scelte di finanza pubblica dovrebbero essere conseguenti. Privilegiare investimenti per la crescita e tagliare quelli non strategici. E la stessa lungimiranza dovrebbe essere dimostrata dal settore privato.
In secondo luogo gli istituti dovrebbero essere orientati in modo chiaro e determinato a diventare quasi-aziende culturali, incentivate nella loro libertà a trovare risorse esterne (ad esempio con lo strumento dei 'matching fund'), premiate per la qualità dell'offerta culturale, stimolate a diventare il centro della vita culturale locale.

Troppo spesso gli istituti sono stati dipinti come un luogo di «anime morte», con un personale senza motivazioni e responsabilità, avente l'obiettivo di sbarcare il lunario. Se questa raffigurazione è scorretta per una parte dei nostri istituti, il Paese oggi non si più permettere di sostenere la restante parte. Dal personale apicale, selezionato e allocato nelle varie sedi con criteri di primato professionale (culturale e manageriale) e di coerenza geografica a quello tecnico e di concetto, sottoposto periodicamente a valutazioni serie, sanzionatorie o premiali a livello economico e di carriera, gli istituti devono potenziare la loro efficacia e operatività per diventare delle agili e agguerrite 'portaerei' del primato culturale dell'Italia nel mondo.
riccardo.viale@fondazionerosselli.it

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi