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Questo articolo è stato pubblicato il 10 marzo 2012 alle ore 19:51.

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In assenza di quelli che dovrebbero essere i nostri interlocutori naturali, approfittiamo perciò dello spazio che il vostro giornale ci mette a disposizione per indicare temi e proposte per un possibile confronto con ministri e sottosegretari del governo Monti.

L'attuale strategia della Rai per la narrazione audiovisiva è a nostro parere da ripensare dalle fondamenta, non solo perché in contraddizione con qualunque principio di buonsenso economico ma anche e soprattutto perché di fatto da anni agisce, a dispetto di un "Contratto di servizio" puntualmente disatteso, in spregio di tutti i diritti fondamentali cui la sua missione di servizio pubblico la obbligherebbe. Primo tra tutti, il diritto dei telespettatori a un'offerta ricca, varia e di qualità adeguata, capace di rispecchiare il paese in tutta la sua complessità. Un diritto che va riconosciuto non a parole ma con fatti concreti.

La Rai investe in contenuti una percentuale del proprio fatturato inferiore a quella di qualunque altro broadcaster europeo di importanza paragonabile. Inoltre è soffocata da costi di struttura spesso ingiustificati. Se da una parte occorre dunque ristrutturare l'azienda e aumentare la quota destinata agli investimenti, dall'altra appare necessario fin da subito diversificare l'impiego delle risorse. Questo significa d'ora in poi declinare diversi tipi di racconto per diversi pubblici, articolando l'offerta produttiva con uno sguardo a tutte le 14 reti e al portale web, non più solo a Rai 1. Stessa cosa ovviamente dovrebbero fare Mediaset, SKY, Fox e La7 che assieme alla RAI dispongono ormai in tutto di 118 canali, mentre gli investimenti in narrativa audiovisiva sono concentrati di fatto solo su 3.
Va detto altresì che tutte le televisioni, generaliste e non, così come tutte le nuove piattaforme digitali che utilizzano film, documentari, cartoni animati e serie-tv, devono essere chiamate a contribuire allo sviluppo del sistema audiovisivo, con quote di investimento certe. E, dal momento che tra i diritti dello spettatore è da annoverare anche quello di poter fruire di una narrazione di qualità, appare anche necessario dare certezza a una quota di investimento annuale per le opere innovative, capaci di sperimentare in termini di genere, di linguaggio, di formato e di modello produttivo, realizzate anche da nuovi autori. La creatività, la ricerca e la capacità di innovare sono infatti l'unica grande risorsa di questa industria, una risorsa che bene impiegata definisce e afferma la cultura e l'identità di un paese, alimentando le esportazioni e attirando ulteriore ricchezza da investire nella produzione.

E' per questo che crediamo anche venuto il momento di affiancare ai criteri di valutazione quantitativa, come l'Auditel, strumenti capaci di garantire valutazioni qualitative attendibili e trasparenti che possano servire da ulteriore strumento alla definizione delle linee editoriali.
Allo stesso modo, per difendere gli interessi del telespettatore e di chi lavora, occorre dire no una volta per tutte a fiction che pretendono di ambientare storie maremmane nelle pampas argentine, o vicende del nostro Ottocento in vicoli e strade mitteleuropee. La genericità forzosa dell'ambientazione, non solo danneggia la qualità espressiva del racconto, ma provoca la perdita di occasioni di lavoro per i nostri attori, scenografi, maestranze. Per questo, al fine di scoraggiare forme di delocalizzazione selvaggia, ci sembra importante che nel prossimo Contratto di Servizio, per poter accedere a un finanziamento RAI, sia previsto anche per la fiction l'obbligo del riconoscimento di nazionalità italiana, con le stesse clausole indicate per il cinema, a salvaguardia degli artisti e dei lavoratori del nostro paese.

Tutto questo si può. Ma perché sia davvero possibile, occorre che il governo Monti intervenga a livello strutturale per rinnovare profondamente la Rai attuale, cambiando il suo modello di governo, garantendo la sua autonomia dai partiti, ridefinendo criteri di assoluta trasparenza nella selezione dei dirigenti e nell'assegnazione degli appalti. Assegnando a quanti ricoprono ruoli di responsabilità obbiettivi che siano coerenti con la sua missione di servizio pubblico e monitorando che vengano perseguiti con professionalità e rigore.

Noi autori siamo pronti a fare fin da subito la nostra parte ma chiediamo al Governo nuove regole e nuovi interlocutori. Interlocutori che ci auguriamo finalmente all'altezza di questa missione.

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