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Questo articolo è stato pubblicato il 10 aprile 2012 alle ore 12:40.

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Nonostante la «Palladio fever» (copyright Jim Ackerman) abbia colpito come una pandemia la comunità degli storici dell'architettura per il quinto centenario della nascita dell'architetto nel 2008, producendo decine di mostre e convegni sulle due sponde dell'Atlantico. Nonostante migliaia di nuove pagine abbiano, nell'occasione, arricchito una bibliografia plurisecolare che vede la prima pubblicazione di disegni inediti di Palladio datare al 1730, quando Richard Boyle, terzo conte di Burlington, stampò in fac simile i disegni per le Terme antiche che aveva comprato a Maser. Bene: nonostante tutto ciò, è ancora possibile che dalle collezioni inglesi escano inediti disegni di Palladio.

Li ha presentati sabato 31 marzo Howard Burns alla Opler Conference al Worcester College di Oxford, e sono stati esposti in una instant-exhibition per gli studiosi convenuti da Europa e Stati Uniti, come è costume nella civilissima accademia britannica (per altro la mostra era allestita da una giovane borsista italiana, Eleonora Pistis).
Oggi docente alla Scuola Normale Superiore di Pisa, dopo avere insegnato a Cambridge, al Courtauld Institute di Londra e a Harvard, Burns è da quarant'anni uno dei più sofisticati conoscitori di disegni rinascimentali di architettura. Nel 1977 scoprì nella biblioteca Laurenziana di Firenze un disegno di Leon Battista Alberti per un piccolo edificio termale, che resta tutt'ora l'unico progetto autografo conosciuto del grande architetto. A Burns si devono saggi sui disegni di Baldassarre Peruzzi, di Francesco di Giorgio, di Raffaello e in particolare di Palladio, a cui dedicò nel 1975 a Londra una mostra che fece epoca e che fissò le direttrici di ricerca per le successive generazioni di studiosi.

I fogli palladiani che questa volta Burns ha scovato al Worcester College di Oxford raffigurano un capitello composito romano proveniente dall'antico San Pietro a Roma, un capitello ionico allora presente in una casa bolognese, due disegni per il trattato di Daniele Barbaro sulla prospettiva (non di Palladio ma di sua proprietà) e un progetto di tomba, forse per il nobile vicentino Marco Thiene. Un bottino in sé notevole, se non fosse che in più, a Oxford, Burns ha definitivamente varcato una nuova frontiera delle ricerche: la materializzazione di altri disegni perduti di Palladio. Non nel senso che li abbia trovati, perché in realtà sono ancora irreperibili, ma è riuscito a farceli vedere.

Per capire come Burns abbia operato questa sorta di gioco di prestigio bisogna andare indietro nel tempo, e addentrarsi nel cuore del culto di Palladio che si comincia a officiare in Inghilterra a partire dal secondo decennio del Seicento, e che ha come primo gran sacerdote l'architetto Inigo Jones. Inviato in Italia a caccia di modelli per svecchiare la provinciale architettura inglese, Jones si innamora degli edifici di Palladio. Percorre le vie di Vicenza e le campagne del Veneto con in mano una ristampa dei Quattro Libri dell'Architettura pubblicati da Palladio commentando i singoli edifici con note e disegni, come se fosse un diario di viaggio. Alla fine del soggiorno italiano riesce a mettere le mani sull'archivio professionale di Palladio, che alla morte del maestro nel 1580 era divenuto di proprietà dell'allievo e continuatore Vincenzo Scamozzi. Consiste in centinaia di fogli: i rilievi dei monumenti antichi, frutto di numerosi viaggi a Roma, e i progetti per palazzi, ville, chiese, molti dei quali mai realizzati. Su di essi Jones costruisce la nuova lingua nazionale dell'architettura inglese, sia per gli edifici del potere che per le residenze private. Al successo contribuiscono la razionale semplicità dell'architettura palladiana e le sue radici nell'antichità classica. Inoltre nel Nord protestante è gradito anche un certo suo rigore "puritano" che marca una distanza dagli eccessi figurativi del Barocco, identificato con il linguaggio della Chiesa cattolica controriformata. Jones conserva religiosamente intonsi i disegni palladiani, senza tracciarvi sopra nemmeno un segno o appuntarvi una osservazione.

Alla propria morte, nel 1652, li trasmette all'allievo e marito di sua nipote, John Webb. Quest'ultimo, come uno studente alle prese con un nuovo alfabeto, li ricopia uno accanto all'altro in grandi fogli per impadronirsi fino in fondo del linguaggio palladiano. Dopo la morte di Webb nel 1672, i suoi eredi smembrano la raccolta, vendendo separatamente i disegni. La maggior parte giunge nella collezione di John Talman, che li cederà a Lord Burlington, e da questi – attraverso i duchi di Devonshire – giungeranno al Royal Institute of British Architects nel 1894. Una piccola parte resterà in collezioni come quella di George Clarke, che nel 1736 li dona al Worcester College di Oxford (e sono quelli ritrovati da Burns).

Altri ancora scompaiono, anche se non del tutto, perché ne sopravvive l'immagine copiata da Webb prima della diaspora. Burns, lavorando sui fogli di Webb ha già ritrovato l'immagine di un disegno alternativo per la villa di Maser e ha consentito di individuare due disegni preparatori per palazzo Antonini a Udine. A Oxford ne ha mostrati altri, che saranno esposti a Vicenza dal prossimo ottobre all'apertura del PalladioMuseum. Howard Burns già nel 2008 aveva estratto dal cilindro altri due disegni autografi inediti di Palladio dal Rijksmuseum di Amsterdam (dove erano attribuiti a Serlio). Si dice convinto che, prima o poi, i disegni-fantasma palladiani copiati da Webb emergeranno da qualche dimora avita britannica, dai cui scaffali continuano a uscire sorprese. Come nel 2005 con il leggendario Codice Stosch, che Winkelman pensava raccogliere i disegni dei monumenti romani antichi che illustravano la "lettera" di Raffaello a Leone X. Scomparso dal Settecento, è riemerso nella biblioteca di Pallinsburn House nel Northumberland, minando le coronarie di Ian Campbell e Arnold Nesselrath, gli studiosi a cui una piccola casa d'aste di Edimburgo lo aveva messo fra le mani per una expertise. Nel caso di Palladio, Burns ha sottolineato che mancano tutt'ora all'appello «due forzieri di disegni dello Scamozzi» ed elencati nell'inventario dei beni di Lord Arundel, mecenate di Jones, morto a Padova nel 1646. La caccia ai fogli dei progettisti antichi non è frutto di feticismo per l'oggetto.

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