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Questo articolo è stato pubblicato il 12 aprile 2012 alle ore 19:05.

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Una mazza rossa è appesa in bella mostra all'ingresso dei reparti di produzione, accanto un cartello avverte: «Mezzo per distruggere i mobili che sono stati realizzati con un basso contenuto di qualità». Non è uno scherzo, quella mazza Maurizio Riva la usa davvero quando un tavolo, una sedia o una libreria non lo soddisfano: li sfascia, come una sorta d'esecuzione sommaria. Magari è solo un particolare che stona, basta un cassetto che balla, poca roba se vista da un occhio inesperto, a decretare la condanna. Cosa poi faccia ai falegnami che hanno combinato il pasticcio non si sa. Anche se non deve essere nulla di grave, visto che i suoi 86 dipendenti sembrano spassarsela mentre manovrano piallatrici elettriche e seghe circolari. Qualcuno canticchia le canzoni di Dalla. «La mazza rossa è un simbolo – dicono Maurizio e il fratello Davide – che ogni giorno ci stimola a fare al meglio il nostro lavoro».

Comunque capita di rado che serva perché qui, alla Riva 1920 di Cantù (1) nella profonda Brianza, il legno si lavora con cura maniacale, azzarderemo con amore. Poco ci manca a sentire le confidenze di Davide: «Il legno riposa ma non dorme. Ci anticipa nei pensieri e ci prepara a ciò per cui non esistono ancora le parole». Cosa precisamente voglia dire non lo capiamo, però suona bene. Ogni mobile ultimato viene ricoperto da un telo di cotone rosso per proteggerlo sì dalla polvere profumata che qui si respira nell'aria, ma non solo. Soprattutto è questione di rispetto per il prossimo, perché i fratelli Riva pretendono che i loro uomini (con i quali si danno del tu, «bun dì Maurissi») trattino comò e letti dei clienti come fossero quelli di casa. Con amore, appunto. Ciascun pezzo è rifinito da un falegname, quindi oliato con una miscela di essenze naturali brianzole, la cui formula è segreta, e cerato a mano. Poi viene montato per essere certi che non ci siano imperfezioni, infine rismontato e imballato. Questo armadio Hangar in massello di noce andrà fino in Giappone.

«In Italia c'è troppo lassismo, questo è il problema. La prima cosa che faccio al mattino è raccogliere le cartacce davanti ai capannoni perché nessuno pulisce – spiega Maurizio Riva, sempre vestito di nero da quando ha deciso che quel colore gli dona – guardi questa strada: prima pagavo io la manutenzione e buche non ce ne erano, poi mi sono stufato e il Comune ha lasciato che diventasse un colabrodo. Nella provincia di Palermo ci sono più guardie forestali che alberi e prendiamo anche la Fiera di Rho dove si tiene il Salone del Mobile, sa che per pulire i vetri ogni volta ci vogliono 300mila euro? Le sembra possibile che chi l'ha progettata non ci abbia pensato?».

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