Elezioni e aeroporti, Londra prende il volo

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Elezioni e aeroporti, Londra prende il volo

Il futuro sta nelle professioni intellettuali avanzate: nanotecnologie, biologia, comunicazione. Possiamo competere con aeroporti così vecchi? Possiamo tagliare fuori i nuovi mercati come l'Africa?». Per lord Foster, il settantasettenne architetto figlio della working class di Manchester, il progetto a Grain sarebbe il coronamento di una carriera formidabile che, solo in campo aeroportuale, spazia dal semplice nitore di Stansted all'isola artificiale di Hong Kong fino al maestoso "dragone" rosso di Pechino. Qualcuno lo accusa di manie di grandezza, di subire la fascinazione dei metodi cinesi. Lui risponde che un aeroporto ben disegnato può essere il luogo dove ritrovare la bellezza del viaggio: «Anche in Europa si può fare. Il tempo per costruire è lo stesso, quello che rallenta non sono le procedure, ma l'abilità di prendere decisioni».

L'ultima parola spetterà al cancelliere George Osborne. Mentre a Grain incombe lo sconcerto. «Il 76 per cento dei britannici non la ritiene una priorità» osserva John Cooper, dirigente del Medway Council (l'ente pubblico che amministra la zona) «e non basta la vanità di un'archistar a convincerli del contrario. Abbiamo detto di sì ai treni veloci, non difendiamo sempre l'orticello. Forse la gente pensa che certi investimenti andrebbero indirizzati altrove, sui servizi, sul risanamento urbano. Abbiamo chiesto un incontro al sindaco Johnson e a Norman Foster. Non ci hanno risposto. Lei costruirebbe un palazzo nel giardino del vicino senza chiederglielo?». Sembra la Val di Susa. Invece sono le voci con cui la grande Londra post-olimpica dovrà una buona volta confrontarsi. L'avvocato d'affari trasferitosi qui perché stufo della City. Il vecchio reduce che ricorda la campagna d'Italia. La madre preoccupata per il futuro del figlio. Speravano di aver trovato un posto dove vivere in pace. Senza pensare che un aeroporto, un giorno, avrebbe bussato alla porta.

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