Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 22 aprile 2012 alle ore 16:41.

My24
Strage con troppe memorieStrage con troppe memorie

Ha dichiarato una volta Emilio Gentile che «gli storici autentici sono quelli che al massimo arrivano a studiare il Sedicesimo secolo. Poi subentrano i giornalisti camuffati da storici». Un giudizio paradossale, visto che lo stesso Gentile, autore di contributi fondamentali di storia otto e novecentesca, rientrerebbe nella seconda categoria. Ma è pur vero che il passato più recente è spesso colonizzato dai non addetti ai lavori. Un caso esemplare è rappresentato dagli anni Settanta, quasi sempre appannaggio di storici occasionali, includendo in questa categoria non soltanto i giornalisti, ma anche i testimoni, i reduci, i letterati, i cineasti, i magistrati. Persone volenterose, spesso di ottimo intuito, ma incapaci di passare dal magma della memoria alla roccia della storia condivisa.

Ne abbiamo avuto conferma con il recente dibattito innescato dal film di Marco Tullio Giordana su Piazza Fontana (una pellicola quasi televisiva, senza infamia e senza lode, acqua fresca per chi abbia vissuto quella temperie). Molti hanno rimproverato il regista d'essersi liberamente ispirato anche a un libro del giornalista d'inchiesta Paolo Cucchiarelli. Un libro perturbante e controverso, secondo il quale nella sede della Banca nazionale dell'agricoltura, il 12 dicembre 1969, furono collocate ben due bombe: una letale, di matrice neofascista; l'altra innocua, per mano degli anarchici, trascinati con l'inganno in un gioco molto più grande di loro. La tesi è suggestiva, ma forse un po' troppo romanzata, tanto da influenzare anche la recente fiction di Alberto Garlini, La legge dell'odio, educazione sentimentale di un giovane neofascista di belle speranze, presto inghiottito nel gorgo delle trame nere dei primi anni Settanta. Resta il fatto che il volume di Cucchiarelli (quasi 700 pagine), pur essendo meno paranoico di quanto sostengano i suoi detrattori, gode di scarso credito fra gli studiosi. Anche se un ricercatore documentato come Aldo Giannuli ritiene «non del tutto irrealistica l'ipotesi di una doppia bomba», però attribuendola a due gruppi fascisti rivali, al netto di ogni responsabilità anarchica.

Ma chi, più di tutti, non riesce a digerire il libro di Cucchiarelli (un "detective dilettante") è Adriano Sofri. Per confutarlo, l'ex leader di Lotta Continua (già condannato come mandante dell'omicidio Calabresi) ha vergato un frettoloso instant book. Sofri sembra roso dall'ansia di difendere la purezza quasi ingenua di Pinelli, che invece, pur innocente, secondo Cucchiarelli aveva fiutato la trappola in cui erano caduti alcuni suoi compagni anarchici, Valpreda in primis. Strano destino, quello di Valpreda. Oggi è commemorato dalla sinistra alla stregua di un eroe perseguitato, ma all'epoca, prima di trasformarsi nel capro espiatorio di Piazza Fontana, era reputato dai suoi stessi compagni un provocatore e un esaltato (campione di «un sottomondo culturale, ricattato e ricattatore, terrorizzato e terrorista», scriverà Pasolini addirittura un mese dopo il suo arresto). Gli scarti della memoria collettiva. Il limite maggiore dei testi di Cucchiarelli e Sofri? Sono entrambi libri a tesi. Spesso smarriscono il "contesto", impelagandosi in disquisizioni arzigogolate. Sofri accusa Cucchiarelli d'essere affetto da «una vanità impermeabile all'autoironia». Ma lo stesso, a maggior ragione, potrebbe dirsi di Sofri medesimo. Persuasi di possedere la chiave d'accesso per penetrare i meandri di questa vicenda, i due autori non s'accorgono di forzare, in tal modo, le carte che hanno in mano. Un ventenne dei giorni nostri faticherà non poco a orientarsi in questo labirinto. Il film di Giordana, per lo meno, ha il pregio di trasmetterci un diagramma intelligibile, distinguendo, per quanto possibile, i fatti dalle interpretazioni.

La verità è che Piazza Fontana non ha ancora trovato uno storico definitivo, al contrario di quanto è accaduto con il caso Moro, che ha avuto in Miguel Gotor il suo più cristallino decrittatore. A cosa si deve la "rivoluzione copernicana" di Gotor, il quale, con un paio di libri (l'edizione critica delle lettere dalla prigionia, e l'avventurosa storia del "memoriale" dettato ai sequestratori), ha polverizzato quasi tutto quel che era stato scritto in precedenza sull'affaire Moro, costringendoci a contemplare gli Anni di piombo sotto una luce inaspettata? Essenzialmente a tre fattori: a) la giovane età del ricercatore, che all'epoca era un bambino, e quindi non ha potuto lasciarsi influenzare dal proprio vissuto; b) un bagaglio filologico ignoto ai predecessori; c) la volontà d'indagare la tragedia di Moro non come un episodio ancora incandescente, con pesantissimi riflessi sino all'oggi, ma come una pagina remota. Gotor, storico dell'Inquisizione e della censura in età moderna, ha avuto la sensibilità di studiare uomini ancora vivi come se fossero morti da secoli, e di maneggiare documenti pulsanti come se fossero ormai deteriorati dal tempo.

Ecco, il futuro storico di Piazza Fontana, se mai emergerà, dovrà soddisfare questi stessi requisiti, altrimenti continueremo a pascerci delle simulazioni impressionistiche e dei pamphlet d'occasione. Sempre il futuro storico dovrà forse tripartire, per così dire, la materia. Sono tre, infatti, gli eventi originati da quel maledetto ordigno, da studiarsi separatamente:

1) La strage vera e propria (17 morti e quasi 90 feriti). Qui abbiamo una verità giudiziaria, seppur incompiuta. L'ultima sentenza di Cassazione del 2005 ritiene infatti provata la responsabilità di Franco Freda e Giovanni Ventura (esponenti della cellula veneta del neofascista Ordine Nuovo), ormai non più processabili perché già assolti nel precedente giudizio di Catanzaro. Conosciamo quindi gli esecutori, ma non i mandanti, coperti dai numerosissimi depistaggi. Anche il termine "strategia della tensione", per etichettare questa e le successive stragi (Peteano, 1972; Questura di Milano, 1973; treno Italicus, 1974; Piazza della Loggia a Brescia, 1974, la cui storia giudiziaria s'è appena conclusa con l'ennesima assoluzione), è forse inadeguato a cogliere la complessità del fenomeno. Come ha scritto Mimmo Franzinelli «il numero di attori e di enti coinvolti fu troppo grande, la loro autonomia e le differenze troppo marcate, il succedersi degli avvenimenti troppo disordinato perché si possa pensare alla messa in atto di un unico piano globale». Il golpe era possibile, ma improbabile. Contava soprattutto condizionare il quadro politico in senso centrista.

Commenta la notizia

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi