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Questo articolo è stato pubblicato il 22 aprile 2012 alle ore 16:41.

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Strage con troppe memorieStrage con troppe memorie

2) La "defenestrazione" di Pinelli. A tutt'oggi non esiste una ricostruzione plausibile di quella notte del 15 dicembre 1969. Anche la sentenza di proscioglimento redatta nel 1975 dall'allora giudice istruttore Gerardo D'Ambrosio (quella del "malore attivo") non suona del tutto persuasiva, se scandagliata con la lente dello storico. L'unico fatto certo, purtroppo, è la versione opaca e reticente della morte dell'anarchico fornita dalla Questura, versione che attizzò l'incendio.

3) L'assassinio del commissario Calabresi (17 maggio 1972), accusato dalla "piazza" d'essere il responsabile della fine di Pinelli. Secondo la giustizia italiana, il delitto (primo omicidio politico nell'Italia repubblicana) fu deciso dal vertice di Lotta Continua. È questo, forse, l'episodio più inquietante e indicibile. Qui, infatti, non abbiamo a che fare con i tenebrosi scantinati neofascisti, o con le fosche congiure dei "servizi deviati", ma con un pezzo della futura classe dirigente che, passata la buriana, beneficerà di munifiche carriere nell'università, nel giornalismo, nell'industria.

Tre eventi concatenati, ma distinti, con attori quasi sempre diversi. Forse non ha torto Giovanni Pellegrino, ex presidente della Commissione stragi, nel dire che per conoscere la verità «bisognerà davvero aspettare una Terza Repubblica, e una nuova generazione».

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