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Questo articolo è stato pubblicato il 13 maggio 2012 alle ore 08:15.

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Ora quel termine gli è divenuto ancor più irrilevante ma con bonomia si lancia in una scanzonata lezione di storia dell'arte: «Nessuno di noi era in primo luogo pittore, io per esempio non so dipingere, non l'ho mai neanche tentato. Ho fatto altre cose. Le vede queste forbici?», dice brandendone un paio e facendo clac clac con le lame: «Tinguely ci avrebbe messo un motorino per farle funzionare da sole; Arman ne avrebbe accumulate cento per dimostrare come la quantità diventa qualità; César ne avrebbe preso un migliaio e le avrebbe compresse in un cubo; Yves Klein le avrebbe dipinte di blu; Christo le avrebbe impacchettate e io avrei creato un metro quadrato di territorio e le avrei mostrate nel loro contesto naturale. Questo era il Nouveau Réalisme».
Oggi la sua arte, che Jean Tinguely apostrofava come «esercizi per combattere la paura», lui la definirebbe invece «disperazione di non poter credere al feticismo: vorrei tanto credere che tutti questi oggetti di cui mi circondo possano avere un qualche effetto ma non ci riesco», dice senza enfasi, prima di cominciare a chiosare in dettaglio su origini e caratteristiche di alcuni manufatti sparsi per casa: dal calzascarpe machista a forma di donna supina a gambe larghe, al cranio di capra con un corno ricurvo fino alla bocca, dal pezzo di vetro del deserto libico, all'oggetto indecifrabile che ha comprato anche se «nessuno mi ha ancora saputo spiegare a cosa serve».
Probabilmente l'arte è comunque consolazione, prosegue Spoerri: «Credo che sia così per ogni artista. Io quando mi sento giù di corda, mi siedo al tavolo, lavoro e mi torna il buon umore. Una volta un amico psichiatra voleva mettermi in terapia – ricorda ridendo – e io gli ho detto: "allora mi devi pagare tu". Non se ne è fatto niente».
Anche sul ruolo dell'ironia che emana da molte sue opere, Spoerri è pragmatico e disincantato: «Menomale che c'è, ma è della stessa stoffa di quella del mio grande amico Roland Topor, è un umorismo amaro, non benevolo, non ho molte illusioni e non sono mai stato un ottimista, anche se ho avuto una vita meravigliosa, e mi sono realizzato, e ho avuto successo».
Una vita girovaga la sua, vissuta sull'onda della curiosità, senza mai trovare una Patria: «Con la Romania, dove sono nato, non ho più alcun rapporto emotivo, anzi ce l'ho, ma negativo: abbiamo dovuto scappare durante la guerra, mio padre era un missionario ebreo convertito al luteranesimo, un uomo e un padre molto severo, venne ucciso in un pogrom. Non parlo praticamente più il rumeno, del resto ero andato alla scuola tedesca e la nostra bambinaia era tedesca».
Anche la Svizzera dove crebbe, gli è rimasta estranea: «Mi sono sempre sentito straniero: in casa dello zio materno che ci aveva accolto, a Zurigo, a scuola dove non capivo lo svizzero-tedesco, e nonostante che poi tutte le mie mogli siano state svizzere e molti miei amici abbiano un passaporto elvetico».
Ciò che gli è rimasto delle sue peregrinazioni è il suo essere poliglotta e apolide convinto: «Tutti hanno un qualcosa che li spinge attraverso la vita. Essere senza Patria è il motore della mia».
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il personaggio
Le opere di Daniel Spoerri sono di casa nei maggiori musei del mondo, e infaticabile lui continua a produrre
le sue ironiche opere e installazioni.
Nato nel 1930 in Romania, e cresciuto
in Svizzera, nei suoi cinquant'anni di carriera Daniel Spoerri ha cavalcato l'arte e il teatro, il cinema, la danza, l'editoria e la gastronomia.
Nel 1960 ha aderito al Nouvéau Réalisme.
Nel 1997 ha creato a Seggiano (Grosseto) il «Giardino di Daniel Spoerri»,
un parco con oltre cento opere sue e
di artisti amici.
Nel 2009 ha inaugurato nella regione vinicola attorno a Vienna, ad Hadersdorf am Kamp, un proprio museo
con annesso ristorante.
la mostra
Dal 23 maggio al 17 settembre
Daniel Spoerri è il protagonista
di mostra al Museo di Storia Naturale di Vienna, dove sue opere vecchie e nuove dialogano con le raccolte del museo asburgico.
La rassegna viennese, dal titolo «Daniel Spoerri al Museo di Storia Naturale: un dialogo incompetente?», è affiancata in contemporanea ad Hadersdorf da una scelta di «Paralipomena.