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Questo articolo è stato pubblicato il 20 maggio 2012 alle ore 16:35.
L'ultima modifica è del 04 giugno 2012 alle ore 16:40.

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«Ci sono tre generi di bugie: bugie, maledette bugie e statistiche»! Questa battuta, attribuita (ma non è sicuro) a un primo ministro inglese dell'Ottocento, Benjamin Disraeli, potrebbe essere pronunciata anche oggi da tanti che diffidano delle statistiche. Ma delle statistiche abbiamo bisogno come del pane. Altrimenti siamo come un pilota che guida un aereo senza strumenti: rischiamo di prendere decisioni sbagliate e di sprecar soldi (l'aereo rischierebbe anche peggio!). L'importante è che gli istituti che si incaricano di produrre statistiche siano dei templi di integrità e di correttezza, tecnicamente competenti e votati al solo scopo di rappresentare fedelmente la realtà. In genere, gli istituti statistici posseggono queste qualità (e il nostro Istat nè è un buon esempio).

Ma questo non vuol dire che non si possa "giocare con i numeri", o, diciamo, "ingannare pur dicendo la verità". L'economia, fra le varie scienze dell'uomo, è quella che fa più uso di numeri. Questo ricorso ai numeri è valso anche molte critiche all'economia: l'uomo non può esser ridotto a numeri, la felicità non è un numero, il benessere materiale è solo parte del benessere vero, e via discorrendo. Tutto vero, come è vero che, proseguendo nei numeri e passando dalle quattro operazioni all'alta matematica, l'economia è diventata sempre più astratta, ha costruito dei modelli che pretendono di dirci come funziona il sistema economico, ma che, se semplificano troppo, si allontanano dalla realtà: salvo inciamparci sopra quando, come nel caso della Grande recessione, ci si accorge che le rappresentazioni schematiche dell'economia, irte di equazioni, avevano trascurato qualcosa di fondamentale (ne abbiamo parlato nel Sole Junior dell'11 dicembre 2011).

Ma torniamo ai numeri, che dopotutto, anche se non sono tutto, sono molto. Un saggio professore di economia, Sergio Ricossa, usava dire nelle sue lezioni che per la maggior parte dello studio dell'economia bastano le quattro operazioni. Ma anche queste quattro operazioni presentano problemi. I numeri possono essere rappresentati in tanti modi diversi, e il loro "maneggio" presenta molte trappole. Il maneggio dei numeri può essere ingannevole a molti livelli. Vi è un livello, diciamo, patologico, della truffa vera e propria: per esempio, il famoso "schema Ponzi" (vedi l'articolo a fianco) era fondato su un grano di verità, ma di una verità impazzita. In altri casi il maneggio consiste semplicemente in presentazioni fuorvianti o in affermazioni suadenti, ma aritmeticamente sballate.

Per esempio, certamente, 2+2 fa sempre 4. Ma se diminuite un prezzo del 30%, e poi lo aumentate del 30%, tornate al punto di partenza? Molti direbbero di sì, ma invece non è così. L'aumento del 30% si applica a una base che è stata ridotta del 30% e quindi la variazione positiva è più piccola di quella negativa iniziale (vedi grafico).
Variazione sul tema: qualche anno fa in Messico c'era un'autostrada a quattro corsie che era molto trafficata, ma il comune di Città del Messico non aveva i soldi per allargare l'autostrada. Invece aveva rifatto le linee divisorie, trasformandola in una a sei corsie. Ci furono varie proteste perché le auto viaggiavano più strette e ci fu un aumento degli incidenti. Così le autorità tornarono a quattro corsie. E in un documento dissero però che la capacità di trasporto dell'autostrada era migliorata, perché prima era aumentata del 50% (da 4 a 6), e poi era diminuita del 33% (da 6 a 4): così rimaneva un 17% di aumento. Vedete la falla del ragionamento?

Altro esempio: così come c'è un galateo per quanto riguarda come si sta a tavola, c'è anche un galateo per i grafici. Questi devono dire la verità, ma non devono deliberatamente deformarla. Nel blog (vedi qui sotto l'indirizzo del blog) troverete un esempio di queste deformazioni, basato sulla grandezza della scala (la scala è l'asse verticale che riporta la grandezza che si misura). Qui sopra c'è ancora un altro esempio, basato invece semplicemente sulla grandezza della "gabbia" in cui è contenuto il grafico.
Un'altra cosa cui fare attenzione è l'uso disinvolto dei multipli. Esempio: un lancio recente di un'agenzia di stampa americana diceva che le vendite al dettaglio americane erano aumentate, ma l'aumento che gli analisti si attendevano era 5 volte superiore rispetto a quello effettivamente realizzato. Uno quindi capirebbe che il dato è stato davvero deludente. E in effetti sarebbe stato deludente se, mettiamo, gli analisti si attendevano un aumento del 10% mentre il dato effettivo è stato del 2%. Nella realtà gli analisti si attendevano un aumento dello 0,5% mentre il dato effettivo è stato dello 0,1%. La differenza fra i due aumenti è di 8 punti in un caso (da 10 a 2) e di 0,4 punti nell'altro (da 0,5 a 0,1). In ambedue i casi l'aumento previsto è di cinque volte quello effettivo, ma applicare questi multipli a numeri molto piccoli dà un'impressione sbagliata.

La colpa non è mai dei numeri. I numeri sono quelli che sono. La colpa sta nel modo di presentarli. Facciamo un ultimo esempio. Quando le spese sono superiori alle entrate c'è un deficit. Per finanziare il deficit bisogna indebitarsi. Fin qui la cosa è chiara. Ora, tutti sanno che i Paesi europei in generale, fra cui l'Italia, hanno un bilancio pubblico in deficit. Questa non è una notizia, è qualcosa che si sa da tempo. Ma ogni mese ci sono le statistiche sul deficit del mese e queste notizie sono spesso assortite da un titolo allarmante: nuovo record del debito pubblico! Il che è vero: dato che il deficit del mese si aggiunge al debito precedente, ogni mese il debito raggiunge più alti livelli. Ma si dà come notizia (allarmante) quella che è una conseguenza puramente meccanica del fatto - arcinoto - che anche quest'anno ci sarà un deficit.

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