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Questo articolo è stato pubblicato il 02 luglio 2012 alle ore 21:00.

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Woody Guthrie, chitarra e voceWoody Guthrie, chitarra e voce

In America, impareggiabile laboratorio culturale da almeno un paio di secoli a questa parte, c'è una musica tradizionale bianca (il country) e una nera (il blues). La prima ha radici celtiche, la seconda africane. La prima canta il lavoro e l'orgoglio, la seconda il lavoro e il dolore. Per chi ama certi schematismi non sempre molto efficaci il country è tendenzialmente di destra, il blues di sinistra.

Poi com'è ovvio ci sono le eccezioni. La prima e, in tutta probabilità, la più grande di tutte corrisponde al nome di Woody Guthrie, (anti)eroe del folk che alla fine degli anni Trenta ha di fatto inventato la canzone di protesta. Del quale il prossimo 14 luglio ricorrerà il centenario della nascita.

Un bianco di buona famiglia e – per nostra fortuna - pessime frequentazioni che incrociava la ballad country con il blues parlato, la ninnananna con l'epopea di Tom Joad già raccontata dal grande John Steinbeck in «Furore». Un militante sinceramente anti-fascista («Questa macchina uccide i fascisti», teneva scritto sulla chitarra), tacciato di comunismo nonostante non sia mai stato organico al partito. Un artista la cui influenza si sonda attraverso almeno settant'anni di musica e unisce stelle di prima grandezza del firmamento rock come Bob Dylan e Bruce Springsteen a protagonisti della scena indipendente contemporanea come Billy Bragg e i Wilco.

Il menestrello della Grande Depressione. Per celebrare l'anniversario fatevi un regalo: è in uscita per Arcana «Woody Guthrie. American Radical» (euro 22, pp. 190), biografia scritta in punta di penna dallo storico inglese Will Kaufman. Occasione imperdibile per ripercorrerne l'impareggiabile parabola umana e artistica. Perché certi destini sono segnati: Guthrie nacque il 14 giugno, ricorrenza della presa della Bastiglia, big bang di ogni rivoluzione possibile. Suo padre - imprenditore del comparto petrolifero di Okemah Oklahomah iscritto al partito democratico - lo registra all'anagrafe come Woodrow Wilson, già governatore del New Jersey che diventerà il secondo presidente «dem» degli Stati Uniti. Woody ha un'infanzia infelice, segnata dalle disavventure finanziarie del padre, un incendio che si porta via la casa, l'esplosione di una stufa che uccide la sorella, madre persa a causa di una malattia inguaribile e padre rimasto vittima di un altro rogo in circostanze mai chiarite. Il rapporto con Guthrie senior, in particolare, resterà irrisolto: Woody in vita non si lascerà mai sedurre dal moderatismo democratico – con buona pace di Barack Obama che lo ha incluso nel suo personale pantheon politico – e farà addirittura outing a proposito della segreta adesione di papà al Ku Klux Klan. I suoi affetti più cari, per tutta la vita, saranno insomma chitarra e armonica.

Il Village e gli Almanac Singers. Sono gli anni della Grande depressione e Guthrie «inventa» il mito del folk-singer «hobo», entertainer vagabondo che balza da un treno merci all'altro, sacco in spalla e chitarra in mano. Alla fine degli anni Trenta approda a New York ed entra in contatto con il prolifico ambiente del Greenwich Village pieno di radicali. In perfetta sintonia con Pete Seeger, Lee Hays e Millard Lampell dà vita agli Almanac Singers, gruppo folk schierato con il Popular front. Sono anni di grandi canzoni e intense collaborazioni. «This land is your land» e «Pretty Boy Floyd» entreranno di diritto nel grande songbook americano mentre il duetto con il bluesman Lead Belly farà storia. Un bianco che suona con un nero canzoni di protesta: ennesimo pugno nello stomaco per l'audience benpensante degli States.

Una vita da romanzo. Ebbe una biografia avventurosa, comprese un'esperienza con la marina mercantile nel corso della Seconda guerra mondiale (su navi silurate), un dossier per condotta anti-americana negli anni del Maccartismo e un ricovero all'ospedale psichiatrico di Greystone Park, causa Corea di Huntington. Qui riceverà ospiti illustri: dal diciannovenne Bob Dylan che lascia Duluth per rendere omaggio al Maestro fino al vecchio sodale Peter Seger, accompagnato da Arlo Guthrie, figlio dello stesso Woody. Più o meno l'indimenticabile scena ricostruita nel film «Alice's Restaurant». Una vita da romanzo, ripercorsa nell'autobiografia «Questa terra è la mia terra» da cui nel '76 il regista Hal Ashby trarrà «Bound for glory».

Una lezione di libertà. Guthrie se ne va nel '67, in tempo per vedere appena oltre la finestra del suo manicomio l'esplosione del primo folk revival, Dylan nuovo profeta della controcultura che lo omaggia con canzoni dedicate e le cover di Phil Ochs. Fosse vissuto qualche anno in più, avrebbe assistito ai tributi di John Mellencamp, all'uscita di «The Ghost of Tom Joad», in cui Springsteen scrive un'ideale prosecuzione delle gesta del protagonista di «Furore», ai due capitoli di «Mermaid Avenue» con Bragg e i Wilco che mettono in musica suoi testi inediti, agli innumerevoli proseliti di questa nuova, ennesima stagione di folk revival. Tra gli epigoni di Woody c'è pure il figlio Arlo che oggi è incredibilmente passato alla sponda repubblicana. La sua resta una scomoda lezione di libertà assoluta. «Lasciate che io sia conosciuto – diceva - soltanto come un uomo che vi ha detto qualcosa che già sapevate». Qualcosa di validissimo anche a cento anni dalla sua nascita.

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