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Questo articolo è stato pubblicato il 08 luglio 2012 alle ore 08:15.

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Rispetto a Inferno e Paradiso, Rinascimenti Italiani sposa all'attenzione per il policentrismo un'attenzione non meno marcata per le diverse temporalità in conflitto tra loro. Il Quattrocento della Crouzet-Pavan è un secolo dell'anacronismo, segnato cioè tanto dalle rotture radicali quanto dalle permanenze che rimettono in discussione la linearità del processo storico. La diagnosi vale ovviamente per ogni epoca, ma qui – tra sogni di renovatio e nuove età dell'oro – la tensione si avverte ancora con più forza. Per chi si occupa di arte e di letteratura rimane memorabile una pagina dell'Anti-Rinascimento di Eugenio Battisti, dove la Firenze all'apice del suo movimento di rinascita dell'antico viene descritta per quello che, per lo più, doveva apparire ai visitatori: una città medievale, con marcati tratti goticheggianti. E, anche se Battisti non figura nella bibliografia di Crouzet-Pavan, si può dire lo stesso che il suo volume sistematizza con grande intelligenza questo approccio: ricordandoci costantemente che lo storico ha a che fare con durate diversissime e che l'incrocio di novità e di arcaicità in cui conduciamo le nostre vite dipende dallo scarto insuperabile che esiste tra le vite dei singoli uomini, dei palazzi, dei costumi e delle istituzioni. Una lezione di storiografia applicata che, a cinque anni dall'originale, rende tanto più meritevole la traduzione italiana del volume e la segnala anche ai lettori non specialisti.
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Elisabeth Crouzet-Pavan, Rinascimenti italiani (1380-1500), a cura di Amedeo
De Vincentiis, traduzione di Lorenzo Biagini, Viella, Roma, pagg. 462, € 38,00

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