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Questo articolo è stato pubblicato il 15 luglio 2012 alle ore 08:18.

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Ecco perché. I due disegni attribuiti al Caravaggio raffiguranti Testa di vecchio di profilo, uno dei quali Bernardelli Curuz e Fedrigolli ritengono sia stato utilizzato dal Merisi per eseguire la testa della fantesca situata all'estremità destra della Giuditta con la testa di Oloferne della Galleria nazionale d'arte antica di Palazzo Barberini, sono in modo lampante copie pedisseque, probabilmente dei primi decenni del Seicento e sicuramente dopo il 1601- 1603, della famosa scultura in terracotta nota come il Seneca eseguita da Guido Reni poco dopo il suo arrivo a Roma nei primissimi anni del Seicento, citata a chiare lettere dal biografo del Reni, Carlo Cesare Malvasia, nella Felsina pittrice (Bologna 1678, Tomo II, parte IV, «Vita di Guido Reni», pagina 82).
Secondo gli studiosi del pittore emiliano la scultura, oggi conservata presso il Museo di Palazzo Venezia a Roma, è databile al 1601-1603. Si noti nel confronto tra i disegni e la scultura l'assoluta corrispondenza del profilo aquilino, del mento sporgente, della bocca socchiusa e della fisionomia del vecchio, oltre al fatto che l'anonimo autore dei fogli utilizzi rialzi di biacca tra l'occhio e l'orecchio e sulla fronte per cercare di rendere i chiaroscuri delle rughe che stava osservando nella scultura di terracotta del Seneca al momento dell'esecuzione del disegno.
Il terzo disegno attribuito al Caravaggio da Curuz e Fedrigolli raffigurante Testa di uomo rovesciata all'indietro, a loro parere da collegare al dipinto del Merisi con la Maddalena in estasi di collezione privata, è anch'esso una copia accademica da una scultura ellenistica d'ambito pergameno (databile al II secolo a.C) nota come Alessandro morente, conservata presso la Galleria degli Uffizi a Firenze.
Si noti nel confronto tra il disegno e la scultura come nel foglio l'anonimo autore disegni l'occhio pieno – quindi senza delineare iride e pupilla – proprio perché sta copiando la statua, nonché il medesimo andamento, leggermente incurvato, delle sopracciglia che esprimono il dolore dell'Alessandro morente.
Tengo a precisare che, per avere un contro parere sempre necessario in queste delicate questioni, ho sottoposto le considerazioni critiche e filologiche sopra esposte e le relative fotografie con i confronti alle massime autorità italiane del Caravaggio (Claudio Strinati, Mina Gregori, Giulio Bora e Maurizio Calvesi) i quali, senza riserva alcuna, hanno confermato pienamente la tesi che i tre presunti disegni giovanili del Merisi sono in realtà copie seicentesche di stampo accademico da sculture.
Questi tre casi emblematici, oltre che confutare in modo evidente la paternità del Caravaggio dei tre disegni pubblicati da Curuz e Fedrigolli (altre smentite giungeranno man mano che gli specialisti esamineranno gli altri 97 fogli), dimostrano la totale mancanza di serietà e di approccio scientifico dei due "studiosi", e anche che nel cosiddetto «Fondo Peterzano» non vi sono solo autografi del maestro del Merisi, ma sono confluiti in tempi e modi a noi sconosciuti disegni eseguiti dopo la morte del Peterzano (1596). Lo stesso Bora, nell'articolo sopra citato pubblicato nel 2002 su «Paragone», alla nota 5 afferma: «C'è subito da precisare che sotto il nome di Peterzano è stato inventariato quasi un migliaio di fogli: in realtà a lui ne appartengono forse più di un centinaio, trattandosi in molti casi di disegni anche seicenteschi. Fra di essi ho potuto identificare recentemente un'ottantina di fogli di Giovan Battista Discepoli detto lo Zoppo da Lugano». Preciso che il Discepoli nacque a Castagnola verso il 1590 e morì a Milano nel 1660.
L'intero fondo necessita quindi di nuovi e più approfonditi studi specialistici, condotti con rigore scientifico e da studiosi competenti di disegno, materia tra l'altro complicatissima e che richiede un alto grado di specializzazione. Mi auguro che la mostra di una selezione dei fogli annunciata dall'assessore alla Cultura del Comune di Milano Stefano Boeri, possa riaccendere il dibattito critico non solo sul «Fondo Peterzano», ma anche sulle prove pittoriche eseguite dal giovane Caravaggio prima della sua partenza per Roma e che mancano ancora all'appello, a mio avviso da ricercarsi tra i molti ritratti e nature morte custoditi in collezioni private italiane ed estere oggi genericamente classificati come di «Anonimo di scuola lombarda dell'ultimo quarto del XVI secolo».
Infine, nei giorni scorsi ho scaricato dal sito del Comune di Milano il file contenente le immagini digitali di tutti i cento disegni attribuiti al Caravaggio da Curuz e Fedrigolli. Ritengo a una primissima analisi – bisognosa, chiaramente, di ulteriori e specifici approfondimenti – che all'interno di questo corposo nucleo di 100 disegni si possono distinguere agevolmente mani di differenti autori. Inoltre, molti fogli presentano una qualità esecutiva davvero debole; altri sono anch'essi copie da sculture. E, come se non bastasse, un numero consistente di essi è databile dopo la morte del Caravaggio sopraggiunta nel 1610.
© RIPRODUZIONE RISERVATA A sinistra, uno dei fogli attribuiti al giovane Caravaggio attivo a Milano tra il 1584 e il 1588 presso la bottega di Peterzano. Ma, come prova il confronto, il disegno non è altro che una copia d'accademia del cosiddetto «Seneca» di Guido Reni, scultura in terracotta eseguita secondo il biografo seicentesco Carlo Cesare Malvasia («Felsina pittrice», 1678) dal Reni poco dopo il suo arrivo a Roma (oggi al Museo di Palazzo Venezia). Secondo gli esperti di Reni, la statua è databile al 1601-1603. La fredda mano accademica è ancor più evidente in un altro

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