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Questo articolo è stato pubblicato il 05 agosto 2012 alle ore 19:00.

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Edoardo Gabbriellini (Epa)Edoardo Gabbriellini (Epa)

Era molto atteso Padroni di Casa, opera seconda dell'attore e regista Edoardo Gabbriellini (bello fu il suo esordio con B.B. e il Cormorano), in concorso al 65° Festival del film di Locarno. Sarà per Gianni Morandi, di nuovo sul set come protagonista, sarà per la coppia di fratelli Germano-Mastandrea. Sarà perché, in fondo, Locarno era l'ultimo grande Festival in cui un nostro regista aveva vinto il primo premio (Costanzo con Private), prima che quest'anno i Taviani sbancassero Berlino con Cesare deve morire.

Tante aspettative, in parte confermate da un soggetto affascinante ma decisamente deluse, poi, da una storia che alle buone intenzioni non fa seguire intuizioni altrettanto valide. Gabbriellini si lancia in una sorta di "tranquillo week-end di paura" in salsa italiana, che rimbalza tra un cantante che cerca e trova il suo grande ritorno- Gianni Morandi, nella parte di Fausto Mieli- e due fratelli, operai, che lavorano in casa sua e che entrano in un ambiente provinciale, chiuso e sofferente. Mieli ha una moglie giovane, bella ma inchiodata all'immobilità e all'incomunicabilità da un ictus che da 15 anni la tormenta: questo dolore lo corrode da dentro, come il successo a cui per lei, forse, ha rinunciato.

Interpreta bene un cinismo sorridente, il cantante, con una performance volenterosa e concentrata, cosí come piace anche un Valerio Mastandrea che si porta dietro, con ironia e un'anima infantile, il disagio di vivere. Ex alcolizzato, ha un rapporto col fratello Germano- male utilizzato in un ruolo bidimensionale- che rende entrambi ostaggi l'uno dell'altro. La provincia che li ospita li accetta con curiosità, ben impersonata dall'esordiente Francesca Rabbi, e diffidenza, il film è pervaso dall'inquietudine che qualcosa di insano ma "normale" in una società come la nostra, possa esplodere. Una violenza repressa e depressa pericolosa, che si insinua nella fragilità umana ogni giorno, dalle liti condominiali a un parcheggio rubato.

Tanti bei pezzi di un bel mosaico che, come quello che Mastandrea compone nel film, rimane incompiuto. Perché questo lungometraggio sembra spezzato in due, commedia nella prima parte e thriller nella seconda, non sembra trovare un'omogeneità che lo renda fluido e credibile, anche per una seconda parte per lo meno frettolosa e per dialoghi inadeguati, soprattutto nei momenti cruciali. Tanto che si ha la sensazione di un'opera e di attori che rincorrono la storia, sempre apparentemente fuori fuoco.

Ma questo, comunque, non deve farci sottovalutare il tentativo di produttori, regista e attori di cercare un oggetto filmico diverso dalla "solita" impostazione italiana, rimane lodevole la voglia di gettare il cuore e il cervello oltre l'ostacolo, di portare al festival e nelle sale qualcosa che non è etichettabile. Un coraggio non premiato dalla riuscita ma che va elogiato, proprio perché, usato una metafora "olimpica", è la difficoltà della sfida a portare all'eventuale sconfitta. E l'hanno capito coloro che hanno voluto essere della squadra, a partire da quel Morandi che dice di "essere tornato al cinema perché questa proposta mi ha dato la voglia di riprovarci, mi ha entusiasmato, perché è qualcosa di diverso rispetto a tutto quello che m'avevano sottoposto negli ultimi 40 anni".

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