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Questo articolo è stato pubblicato il 12 agosto 2012 alle ore 08:17.

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Carlo Rovelli
Quando gli europei sono venuti in contatto con i popoli "primitivi", hanno pensato che il modo di vita di questi popoli fosse rimasto lo stesso dai lunghi millenni della preistoria. L'idea, criticata come ingenua in passato, trova invece conferma nei risultati di un vasto lavoro interdisciplinare fra antropologia e archeologia. Il decennale lavoro di antropologi che hanno vissuto con popolazioni di tutti i continenti ha fornito descrizioni ampie e dettagliate su vita e cultura indigene. Nel contempo, decenni di scavi ci hanno fornito un quadro sempre più preciso della vita preistorica. Il confronto è illuminante: oggetti simili, amuleti simili, simile struttura di case e villaggi, statue simili, monumenti simili, come i dolmen, simili forme di sostentamento, simile livello di scambi commerciali, simili rituali, e via così. Le popolazioni "primitive" studiate dagli antropologi possono effettivamente rappresentare una finestra sullo stile di vita della nostra specie durante diverse fasi dell'età della pietra. Guardare nei loro occhi è forse un poco come guardare negli occhi di migliaia di generazioni che ci hanno preceduto.
Questo è il punto di partenza di un libro che sta suscitando molto interesse: La creazione della diseguaglianza: come i nostri antenati preistorici hanno gettato le basi per monarchia, schiavitù e imperi. Il libro è scritto a quattro mani da un archeologo e un antropologo, Ken Flannery e Joyce Marcus, noti per contributi fondamentali dati allo studio delle culture precolombiane del centro America. Il punto di arrivo del libro è una tesi sorprendente, che ha risonanze politiche e sociali, sull'origine della diseguaglianza nelle società umane. Molte società, e la nostra democrazia fra queste, sono fortemente stratificate: miliardari e poveracci, nobili e plebei, generali e soldati, liberi e schiavi, eccetera. Qual è l'origine di questa diffusa diseguaglianza? La specie umana è stata sempre gerarchica? Il pensiero politico classico presenta tesi contrastanti, dall'origine divina delle diseguaglianze: nobili e borghesi calvinisti, il re e il papa, sono al di sopra degli altri per grazia divina. Fino alla tesi famosa, qualche volta irrisa, di Jean-Jacques Rousseau, che in un saggio giovanile del 1755, il Discorso sull'origine e le basi della diseguaglianza fra gli uomini, presentò l'idea di una società primitiva egalitaria, dove tutti gli uomini e tutte le donne avevano pari dignità, e le risorse erano condivise. Secondo Rousseau, questo stato ideale di "buon selvaggio" è stato perso con lo strutturarsi della società, che ha portato alla formazione di classi sociali, poteri e ineguaglianze. «L'uomo nasce libero, eppure lo vediamo ovunque il catene», sono le potenti parole di Rousseau, poco prima della Rivoluzione Francese.
La sorpresa è che la ricerca recente sembra dare ragione a Rousseau. Prima dell'inizio dell'agricoltura, prima della formazione di strutture sociali complesse come clan e tribù, i nostri antenati vivevano di caccia e raccolta, organizzati in piccoli gruppi dove l'eguaglianza sociale era difesa attivamente. La struttura base delle antiche società di raccoglitori-cacciatori nomadi è la famiglia allargata, formata da dieci-venti persone con stretti vincoli di parentela, a sua volta legata da una fitta rete di scambi di doni con altre famiglie allargate che vivono nello stesso territorio. Non vi è accumulo di ricchezza, non vi è differenza di grado riconosciuta. Perfino il riconoscimento di maggiori capacità di un individuo, per esempio nella caccia, è tenuto a freno dalla cultura. Presso i !Kung del deserto del Kalahari fra la Namibia e il Botswana, per esempio, una caccia particolarmente felice di un bravo cacciatore viene accolta con grande allegria, ma anche con grande ironia: un ricco bottino di carne viene subito schernito da tutti con humour: «Ma che inutile mucchio di pelle e ossa!». La comunità è vigile affinché nessuno venga a trovarsi in una posizione di privilegio. La carne cacciata è subito divisa e regalata. Un uomo più capace e intelligente è ascoltato se di volta in volta riesce a convincere gli altri di una buona scelta, ma non vi è un capo nel gruppo, e chi cercasse di imporsi incontrerebbe l'immediato l'ostracismo di tutti. L'unico bene che una famiglia accumula è il credito verso i vicini, se riesce a fare loro molti doni. In un momento di difficoltà, saranno i vicini a essere felici di potersi sdebitare. Questa sembra essere stata la vita degli uomini per centinaia di migliaia di anni.
Circa 15.000 anni fa, con il crescere della capacità di gestire i prodotti della terra, il conseguente aumento della popolazione e la necessità di lavorare insieme in gruppi numerosi, iniziano a instaurarsi nuove strutture, dove si affacciano distinzioni sociali e il valore dell'eguaglianza si indebolisce. La struttura che viene a prevalere è il clan, formato da numerose famiglie allargate. Il clan crea un'identità nuova, che non è né di parentela stretta, né di scambio di doni. Si può riconoscere in un antenato mitico, ma si fonda su un'istituzioni specifica dove i giovani maschi si guadagnano faticosamente l'appartenenza, e vengono pian piano istruiti ai segreti del gruppo: La "casa degli uomini", edificio centrale del villaggio, è il luogo della socializzazione dove i giovani maschi vengono iniziati ed educati ai valori del gruppo. La si ritrova pressoché identica in villaggi indigeni di tutti i continenti, così come negli scavi archeologici che risalgono al periodo di uscita dalla primitiva fase di cacciatori-raccoglitori. La "casa degli uomini" è la radice di molte istituzioni odierne, dalle chiese alle scuole, dalla caserma alla Bocconi. La vita del clan ruota intorno a questo luogo e si radica intorno a complessi rituali che trasmettono i miti fondanti. È in questa fase che il maggiore successo di alcuni individui comincia a essere riconosciuto socialmente. Si afferma anche il valore dato ai maschi, che si considerano il nerbo del clan, rispetto alle femmine, che ne sono ai margini; ai vecchi, che ne sono già integrati, rispetto ai giovani, che devono ancora salire la scala di iniziazione; e a una minoranza di successo che gestisce il clan, ne governa i riti e i percorsi di iniziazione e ne custodisce il sapere segreto. È la radice della nobiltà, del clero e della grande concentrazione della ricchezza. La diseguaglianza all'interno della società umana è nata.

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