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Questo articolo è stato pubblicato il 19 agosto 2012 alle ore 08:15.

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Il romanzo è un luogo di intenso e rischioso coinvolgimento con il mondo, oppure un angolo dove rifugiarsi dalla realtà? La risposta sarà ovvia se viviamo in un paese che non consente di narrare certe storie. Per Solzenitsyn, scrivere comportava seri rischi. Ma in occidente?
Qualche settimana fa, su queste pagine, riflettevo sull'idea che la personalità si forgia in seno a famiglie dove una polarità di valori – magari paura e coraggio, o il bene e il male, o il vincere e il perdere – domina sulle altre. Man mano che l'individuo si crea un posto nella famiglia e più tardi nel mondo, sarà la posizione che assume in rapporto a quella polarità ad essere determinante. Se incontra problemi nello stabilire quella posizione (sono davvero una persona coraggiosa, voglio davvero recitare il buono?), questi saranno molto destabilizzanti. Adesso vorrei lanciare una provocazione: il mondo della letteratura abbonda di individui il cui approccio alla vita è strutturato attorno alle problematiche della paura e del coraggio e che trovano difficile trovare la propria posizione in rapporto a quei valori.
Che caratteri di un certo tipo si rivolgono a determinate vocazioni non è una novità. All'Università Iulm abbiamo due lauree magistrali per gli studenti di lingue, in interpretariato e in traduzione. La differenza di atteggiamento tra i due gruppi è palese. Chi si avvicina alla traduzione non ama scendere in lizza nelle conferenze, preferendo l'aspetto ritirato e intellettuale della traduzione. Viceversa, chi sceglie l'interpretariato ama l'intensità della performance.
Inoltre, non è per nulla rivoluzionario suggerire che la letteratura può essere vista simultaneamente come un'avventura e un rifugio. I romanzi di Per Petterson, per esempio, spesso presentano un personaggio ansioso, ma che vorrebbe mostrarsi coraggioso, circondato da amici e nemici temerari e senza scrupoli. Nel suo In Siberia, la giovane eroina si entusiasma davanti alle immagini della Siberia rinvenute in un libro e sogna di andarvi. Impaurita da eventi bellici – la storia si svolge nella Danimarca del 1939 – si rifugia nella lettura, fantasticando di future avventure, ma per due volte perde le sue fonti librarie, la prima quando la ricca amica muore improvvisamente, la seconda quando una bibliotecaria lesbica le indirizza proposte inquietanti. Il rifugio della lettura (pieno di avventure virtuali) è minacciato dalle avventure della vita reale. Altrove Petterson spiega che l'arte di ricostruire la precarietà della vita con frasi solide e stabili come mattoni è un modo suo per costruirsi un rifugio.
Oppure prendiamo un classico, come Il ritratto dell'artista da giovane. Stephen è costantemente spaventato. La prima volta che sentiamo il suo nome è quando sua madre gli impone di scusarsi e il ragazzo si nasconde sotto il tavolo. Una pagina dopo, eccolo che si spaventa nella mischia di una partita di rugby e corre a rifugiarsi a bordo campo. La prima volta che lo vediamo felice è quando, ricoverato nell'infermeria, non è più costretto a prendere parte alla vita. Impaurito durante il pranzo natalizio dal feroce battibecco scoppiato tra un nazionalista, Mr Casey, e sua zia, cattolica fanatica, Stephen si concentra sul modo in cui si esprimono gli antagonisti; non vuole essere costretto a schierarsi. Ansioso di fare la figura dello spregiudicato, va a prostitute; poi, terrorizzato da una predica che parla dell'inferno, si sforza di essere casto e buono. Infine, l'eroe di Joyce concepisce la vocazione dell'artista come superiore e distaccata da conflitti e fazioni. La sua decisione di diventare scrittore appare un rifiuto coraggioso delle pressioni che lo incalzano, ma è motivata altresì dalla paura di soccombere a forze che lo spaventano.
Che dire invece del curioso caso del primo romanzo di Thomas Hardy, mai pubblicato? Avendo coraggiosamente abbandonato il paesino natale per lavorare a Londra, Hardy improvvisamente si rifugia dalla madre nel Dorsetshire, lamentando stanchezza e malesseri vari, e nel 1867, all'età di 27 anni, scrive The Poor Man and the Lady, il cui protagonista, Will Strong, audace alter ego di Hardy, corteggia la figlia di un ricco, ma viene snobbato dalla famiglia di lei, per poi lanciarsi in politica con ardore combattivo. Hardy descriveva il libro come «una satira drammatica … con un approccio socialista, per non dire rivoluzionario.» Ci sono vari resoconti del perché il romanzo non venne pubblicato; secondo Hardy, una proposta ci fu, se non che un lettore della casa editrice in questione ammonì Hardy che il contenuto esplosivo del libro rischiava di danneggiare la sua carriera. Spaventato, Hardy lo ritirò. Il coraggio è il motivo dominante delle vicende di Will Strong (nome traducibile come "volontà forte"), ma non è molto evidente nei rapporti di Hardy con i suoi editori. Tant'è per un tema assai comune in letteratura. È comprensibile che chi siede giorni interi davanti allo scrittoio per descrivere la vita nei suoi momenti più intensi, si troverà in una posizione ambigua quando si tratta di coraggio e paura. È anche probabile che questa ambiguità sia condivisa da un certo tipo di lettore il quale, ritirandosi per un po' dal turbine della vita reale per leggere, vuole comunque immaginare che stia leggendo un libro coraggioso.
Ne nasce una retorica che lusinga la letteratura: tutti sono pronti ad affermare la sua vitalità e rilevanza. «Il romanzo è l'unico libro raggiante di vita,» dichiara DH Lawrence. Il critico James Wood insiste che lo scopo del romanziere «è mettere la vita sulla pagina» e che «i lettori si rivolgono alla narrativa per trovarci la vita». Trapela invece il timore che forse la letteratura abbia più a che vedere con il distacco; chi è in cerca di vita, mi sembra, preferirebbe piuttosto amoreggiare, viaggiare o fare baldoria che non leggere.

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