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Questo articolo è stato pubblicato il 26 agosto 2012 alle ore 08:17.

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Nel 1961, Jean-Paul Sartre deplorava lo stato dell'Europa. «Fa acqua da tutte le parti», scriveva nella prefazione ai Dannati della terra di Frantz Fanon. «Cos'è successo? Semplicemente che eravamo i soggetti della storia e adesso ne siamo gli oggetti». Indubbiamente era troppo pessimista. Nei cinquant'anni trascorsi da quel lamento, ci sono stati progressi molto significativi, inclusi l'Unione europea, la riunificazione della Germania, l'estensione della democrazia all'Europa dell'Est, il consolidamento e il miglioramento dei servizi sanitari nazionali e della previdenza sociale, i diritti umani iscritti nelle leggi e fatti rispettare. Tutto ciò è avvenuto di pari passo con un'economia europea in rapida espansione che ha ricostruito e ampliato le basi industriali e le infrastrutture devastate durante la Seconda guerra mondiale.
Forse Sartre si riferiva a un contrasto di lungo periodo. Nei secoli precedenti, gran parte della storia del mondo era davvero fatta in Europa e il mondo ne era insieme ammirato e timoroso. Nella seconda metà del Novecento la situazione cambiò rapidamente. Da studente, quando sono arrivato a Cambridge dall'India nei primi anni Cinquanta, ricordo di aver chiesto se all'università c'erano conferenze sulla storia economica dell'Asia, dell'Africa e dell'America Latina. Ci sono, mi venne risposto, per una pubblicazione intitolata «Expansion of Europe». Oggi questa visione europea del mondo sembrerebbe alquanto arcaica non solo perché i grandi imperi europei sono tramontati, ma anche perché l'equilibrio delle forze politiche ed economiche è cambiato radicalmente. L'Europa non sembra più un gigante.
Non c'è niente di speciale – o di deplorevole – nel fatto che le diverse regioni cambino ruolo nel corso della storia. È sempre successo. Colpisce tuttavia il pasticcio nel quale l'Europa s'è infilata nell'ultimo decennio. In questo momento si discute molto – e giustamente – di come farà a liberarsi dello scompiglio finanziario, della sofferenza economica e del caos politico. «Cosa fare adesso» è sicuramente una questione importante, ma se si pensa al recente passato «cosa non fare» lo è altrettanto, non solo per la rilevanza degli errori precedenti nel decidere il da farsi in Europa oggi (non che sia facile disfare quanto fatto, non c'è mai una traduzione automatica delle follie passate in correzioni presenti), ma anche perché le lezioni negative possono evitare traversie simili nel resto del mondo. Cos'è andato storto in Europa negli anni scorsi? ...
Il Movimento federalista europeo è nato dal desiderio di unità politica – di prevenire altre guerre auto-distruttive – com'è chiaro dai contenuti delle dichiarazioni di Ventotene nel 1941 e di Milano nel 1943. Non c'era alcuna ostilità nei confronti di un'integrazione economica e neppure di un'unione finanziaria. Le priorità tuttavia non erano le banche né la moneta, ma la pace, la buona volontà e una graduale integrazione politica. Il fatto che l'unificazione politica abbia accumulato un notevole ritardo sull'incorporazione finanziaria è uno sviluppo successivo e i problemi causati da questa sequenza deliberata fanno capire la natura complessa e l'ampiezza dell'attuale crisi economica europea.
C'è un punto particolarmente degno di nota in questo contesto storico, che viene spesso trascurato. Nella zona euro, i problemi causati dalla precedenza data all'integrazione e all'unione monetaria, senza il sostegno di una più stretta unione politica e fiscale, vanno oltre quelli economici: riguardano l'ostilità sociale e il rapporto tra i popoli dei vari Paesi europei. In molte forme diverse, la rabbia e la frustrazione hanno generato tensioni e rafforzato quei politici estremisti che l'Europa, era lecito aspettarsi, si era lasciata alle spalle.
Non devono sorprendere i problemi di bilancia dei pagamenti e altri simili nei Paesi come Grecia, Spagna o Portogallo, dati i limiti inflessibili posti all'aggiustamento del tasso di cambio e alle politiche monetarie. Il conseguente scenario di crisi e salvataggi che esigono tagli draconiani ai servizi pubblici ha anche esasperato gli animi da entrambe le parti. Ha fortemente aggravato il disamore tra le Nazioni europee come dimostra, sotto forme diverse, la retorica politica di questi giorni da nord a sud, e il disprezzo con i quale sono additati "i greci pigri" o "i tedeschi del Reich".
L'analogia spesso invocata con i sacrifici dei tedeschi per riunificare la Germania dell'est e dell'ovest è ingannevole e annebbia spesso il pensiero di certi europei. Inganna in parte perché, tra le Nazioni europee, il senso di unità nazionale che ispirava quei sacrifici oggi non esiste, e anche perché in quel notevole sforzo unitario, i sacrifici ricadevano soprattutto sulla ricca Germania dell'ovest e non su quella più povera, mentre in Europa vengono richiesti a Paesi come la Grecia e la Spagna.
I costi delle politiche economiche fallite vanno ben oltre le statistiche, pur importanti, della disoccupazione, del reddito reale e della povertà. L'idea stessa di unione, di un senso di appartenenza europea, è messa in pericolo da quanto succede in campo economico. I fautori dell'"unità monetaria europea" hanno in effetti spinto gran parte dell'Europa verso la disunione. Non intendo dire che si rischia di tornare al 1939, ma i "cani d'Europa" che abbaiano nelle loro basi regionali di risentimento e di disprezzo, se non di odio, recano un danno immenso alla causa europea dell'amicizia e dell'unità. ...

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