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Questo articolo è stato pubblicato il 31 agosto 2012 alle ore 08:48.

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Premessa. Faccio il traduttore, scrivo articoli, lavoro nell'editoria e ogni tanto pubblico un libro. L'ultimo è uscito qualche mese fa senza clamore (è un eufemismo). È pomeriggio. Sono a casa a tradurre quando mi arriva una chiamata da un numero sconosciuto.

«Ciao, siamo di ]. Presente?».
Ho un momento di esitazione – un ciclo Maya, per loro – che mi smaschera. «Fa niente, vorremmo invitarti a parlare del tuo libro». In radio? Penso. Che bello. «Va bene!»
«Ti richiamiamo». Mettono giù, googlo il nome del programma e scopro l'arcano. Non sono così snob, ma conoscevo il programma di Geppi Cucciari come "il programma di Geppi Cucciari". Sono così emozionato che riprendo a tradurre.
Seconda telefonata. «Ciao, siamo di G'Day. Presente?». Sì! «Ottimo. Sarà un'esterna a Sesto San Giovanni, c'è un campo d'atletica. Siccome siamo in contemporanea con il Salone del Libro, noi allestiamo un… salottino! Facciamo il lancio… del libro! Cioè lo lanciamo… davvero!». I puntini di sospensione, come quelli esclamativi, sono suoi.

«Tu non devi fare niente. Ci sarà un lanciatore del disco. Voi fate la vostra promozione». La parola "promozione" viene pronunciata così tante volte da smarrire il significato primario per trovarne uno osceno, come "ionico" alle elementari sulla bocca dell'amica sprovveduta. Ad ogni modo la faccenda mi rassicura. Mi sono esibito in poetry slam, fight reading, pugilati letterari e una volta ho perfino letto una poesia di Leopardi in biblioteca. Però, come dire, sapevo a cosa andavo incontro.
«Quando esci dalla metropolitana, fammi un colpo di telefono che arrivo». È una torrida giornata di primavera. Esco di casa e mi faccio prendere dall'ansia. Non sono mai stato in televisione, nemmeno in un programma di nicchia come Porta a Porta, e non vorrei sfigurare. Quando emergo dalla metropolitana controllo l'ora: da bravo intellettuale, che snobba la televisione, sono in anticipo.
Dopo mezz'ora passata a dimenticare un libro di Popper, telefono al contatto. «Non riesco a venire. Chiama un taxi, poi ti rimborso». E invece di taxi non ce ne sono. Mi fiondo dal primo vigile e gli chiedo come arrivare al campo. «Eh, è una bella sudata!» sbotta in un lago di sudore. Un attimo prima ero in anticipo, ora sono nel panico. La strada è lunga ma a un tratto, come un miraggio indotto dal sudore, intravedo il campo. All'interno ha una pista a sei corsie, dove sgambettano i ragazzini. Tutto molto sano, fatta eccezione per il furgoncino che mi attende.
Attraverso la pista e mi avvicino a due tizi.

«Sei lo scrittore?».
«Sì».
«Dovrai lanciare il tuo libro».
«Mi avete detto che non avrei dovuto lanciarlo».
«Lo so, ma il regista ha deciso così».
«Tu mi hai detto un'altra cosa».
«Lo so, ma il regista ha deciso così».
«I limiti del linguaggio sono i limiti del mondo».
«Lo so, ma il regista ha deciso così».
È un postulato divino. In mezzo al campo ci sono quattro poltrone e un tavolino con le tazze e una teiera. Sì, è il salottino del libro. Ci sono trenta gradi e, se mi sono mai trovato in una situazione analoga, era in compagnia dei tuareg. Si beveva tè verde e nessuno fiatava.
Venti minuti alla diretta. Mi rivedo concionare contro gli scrittori che si prestano al ridicolo. «Preferirei di no!» inveivo in un Arci di Farnocchia, ospite alla sagra del tordello, a tre vecchietti che non ci sentivano bene. Oggi saranno incollati allo schermo e mi daranno del venduto.
«Chi sono gli altri?».
«Due imprenditori che hanno scritto un libro. Hai presente quelli del gelato Grom? E Micol Beltramini con Vieniminelcuore».
«Tutto attaccato?».
«Sì. Vi presenta Pinketts».

Ho bisogno di raccoglimento. La canicola non lascia scampo e l'unico punto di salvezza è all'ombra del camioncino che ha il motore acceso per alimentare un generatore. Mi siedo fra i miasmi dello scarico e lo spurgo mi chiarisce le idee: «Se mi chiedono di lanciare, me ne vado. Non è così importante. Anzi, non è importante per niente».
Sono quei momenti in cui si squarcia il velo di Maya e sei venuto fino a Sesto San Giovanni per un cazzo. Inoltre sei indietro con una traduzione. Un quarto d'ora alla diretta. Prendo da parte il mio uomo: «Senti, non voglio passare per un intellettuale rompicoglioni, ma sono un intellettuale rompicoglioni e io quel libro non lo lancio». Annuisce con un sorriso tipo guru che, come quello di un santone, comunica serenità solo se sei in cerca di plagio psichico e abusi sessuali. Poi si dilegua.

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