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Questo articolo è stato pubblicato il 31 agosto 2012 alle ore 08:48.

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Dieci minuti alla diretta. Arriva Andrea G. Pinketts ed è esuberante. L'ultima volta che ci siamo visti è stato dieci anni fa, ciucchi persi dopo una serata così memorabile che né io né lui ricordiamo niente. Infatti ci presentiamo ex novo. Intanto dispongono la segnaletica per calcolare i lanci. Arrivano gli imprenditori. Sorpresa: trovo due alleati. «Ragazzi, se dobbiamo ridicolizzare il libro ce ne andiamo».

Vengono ammansiti dal regista. Noto una premura maggiore nei loro confronti, ma sarà la paranoia indotta dall'antistaminico.
Cinque minuti alla diretta. Arriva l'altra scrittrice. Si forma un capannello intorno al salottino improvvisato. I ragazzi dell'atletica si fermano in pista incuriositi e io invidio loro mentre loro invidiano me. L'atleta scalda il braccio. Pinketts è vivace. Vonnegut, teletrasportami. Compare una lavagnetta. «Qui verranno segnati i lanci!» dice il tizio, con in mano un pennarello. Ormai sono quietamente isterico. Il
mantra che ripeto è tale che anche quando un cameraman mi chiede l'ora rispondo: «Io quel libro non lo lancio».
Due minuti. Le poltroncine non sono sufficienti. Cedo il posto a Micol e mi accomodo sul bracciolo accanto a Pinketts. Sono il peluche, l'orsacchiotto, la mascotte. Faccio ciao con la mano se mi centri con una palletta. Sistemano una piccola cassa ai nostri piedi, per farci sentire cosa accade in studio. È un'eco distante con la voce remota di Geppi Cucciari e un brusio indistinto di applausi e risate. Per dirla con Hubert Selby Jr.: non si sente un cazzo.

Pochi secondi alla diretta. «Ciao Geppi, siamo qui in un campo d'atletica con alcuni scrittori che eseguiranno un vero lancio… del libro». La mente sta per esplodermi come in un film del primo David Cronenberg. Pinketts, sempre frizzante, se la cava come solo lui sa fare. Per prima cosa ammette di non aver letto i libri e poi ne distilla il succo. E io, in qualche maniera oscura, gli voglio bene.
I Grom se la cavano: è la favola di due ragazzi che sognavano di fare qualche gelato e sono riusciti a fare qualche gelato. Li fanno correre dall'altra parte del campo, dove lanciano i libri che si squadernano e cadono a pochi metri, in una scena che mi mette voglia di piangere a lungo. Sulla lavagnetta viene segnato il punteggio.
Nel break vado dal mio uomo e ripeto: «Io quel libro non lo lancio». Annuisce. È un generale interrogato sul disastro aereo di Ustica, l'oracolo di Delfi, un regista televisivo. Io sono il convitato di pietra, la statua di sale, Hannibal Lecter davanti alla senatrice.

Tocca a Micol. Pinketts, sempre allegro, racconta che non ricorda se ha limonato con lei. Poi anche lei corre via e lancia il libro. Voglio prendere la testa degli autori del programma e sbatterla con violenza inusitata contro un libro di Theodor W. Adorno.
Nella pausa sferro l'attacco finale al Castello. «Io quel libro non lo lancio». Mancano pochi secondi alla diretta e ci guardiamo per capire cosa fare. «Posso dire che ho una rara infezione al braccio chiamata intellettualite». Nessuno ride.
L'oracolo delibera. «Lancerà l'atleta, dai». Torniamo in diretta.
Quando mi schiaffano il microfono in bocca per sapere cos'è il mio libro, balbetto qualcosa su uno zibaldone. Pinketts, che fino a un attimo prima sonnecchiava con il respiro di un bestione ferito, tira fuori un'unghiata delle sue e dà una definizione perfetta. «È una radiografia e allo stesso tempo un'autopsia dell'editoria italiana». Amen.
L'atleta corre dall'altra parte e fa un lancione che mi stacca da tutti. Vengo eliminato perché non ho seguito le regole.
Risate in studio.

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