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Questo articolo è stato pubblicato il 31 agosto 2012 alle ore 12:43.

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Correva l'anno 1968, quando Andy Warhol pronosticò che in futuro ogni essere umano avrebbe avuto quindici minuti di celebrità, anticipando così la nascita di fenomeni massmediali come Youtube e i reality show. L'artista americano si dimenticò però di specificare che non tutti avrebbero gradito quella popolarità, le cui conseguenze a volte possono risultare disastrose.

È esattamente quello che succede a Martin Kazinski, il personaggio protagonista di «Superstar» del francese Xavier Giannoli, titolo appena presentato all'interno del concorso della Mostra di Venezia.

Uomo medio come tanti, Kazinski da un giorno all'altro si ritrova famosissimo senza una ragione apparente: alcuni ragazzi gli hanno scattato delle foto in metropolitana, le hanno messe in rete e da quel momento tutti lo riconoscono, lo chiamano, lo inseguono nella speranza di un autografo. Ben presto i programmi televisivi si batteranno per averlo come ospite, in qualità di nuovo idolo delle folle transalpine.

Il tema dell'uomo qualunque che diventa improvvisamente una celebrità non è nuovo al mondo del cinema (basti pensare al personaggio di Roberto Benigni nell'inconcludente «To Rome With Love» di Woody Allen), ma nessuno l'aveva mai trattato in maniera così complessa e matura.

Ispirandosi al romanzo «L'idolo» di Serge Joncour, Xavier Giannoli ironizza ferocemente su quale sia il senso dell'essere famosi ai giorni nostri, attaccando con forza la superficialità con la quale si usano oggi i mezzi d'informazione e cadendo in alcune banalità soltanto verso la conclusione della pellicola.

Straordinaria la performance dell'attore Kad Merad, bravo a trasmettere agli spettatori il senso di claustrofobia e inquietudine provato dal suo personaggio allo scoccare di quei famosi, infiniti, quindici minuti.

Decisamente meno toccante è «Pinocchio», film d'animazione di Enzo d'Alò che ha aperto le Giornate degli Autori.
Dopo aver adattato Gianni Rodari («La freccia azzurra» del 1996) e Luis Sepúlveda («La gabbianella e il gatto» del 1998), il regista italiano punta a Collodi, rimanendo sostanzialmente fedele al celebre romanzo.
Come per la maggior parte dei lavori di d'Alò, la sensazione è quella di un'opera rivolta quasi unicamente ai più piccoli, incapace di competere con l'animazione adulta di tante produzioni giapponesi o americane.

Dal punto di vista tecnico, se il disegno dei fondali riesce a trasmettere tutta la magia delle pagine scritte, i personaggi appaiono realizzati frettolosamente e con scarsa creatività: si salva soltanto la Fata Turchina, per l'interessante effetto visivo scelto per i suoi lunghi capelli.
Da segnalare, in conclusione, che Lucio Dalla, al quale il film è dedicato, è autore della colonna sonora e ha prestato la voce al pescatore verde.

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