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Questo articolo è stato pubblicato il 02 settembre 2012 alle ore 08:15.

Ci vogliono quasi 140 pagine di introduzione prima di giungere a quel famoso incipit: «La gloriosissima città di Dio, sia nel corso di questo tempo mentre va pellegrina fra gli empi, sia nella stabilità della sua sede eterna...». E se ne usano ben 1.093 per sondare l'incidenza di Agostino nella modernità, come recita il titolo della raccolta – organizzata da uno studioso, Domenico Bosco – di oltre venti figure rilevanti del "grand siècle" e dintorni, tutte col volto teso verso il vescovo di Ippona. Agostino, infatti, continua ad affascinare sia quando ci conduce sulle vette delle sue straordinarie intuizioni, sia quando cade nelle contraddizioni legate al suo tempo e a certe sue opzioni personali.
La frase da cui siamo partiti rivela subito di quale opera si tratti: è quella Città di Dio che ora Domenico Marafioti traduce e introduce, aggregandosi alla fila di tanti altri predecessori e rivolgendosi al pubblico molto variegato e fin "generalista" degli Oscar Mondadori. È indubbio, infatti, che la simbologia delle due città – per altro di matrice biblica (come non pensare alla Gerusalemme celeste dell'Apocalisse radicalmente opposta alla Babilonia terrena?) – è penetrata nell'immaginario popolare, codificata anche dallo stesso Dante con la «città dolente» o «città del foco» del nadir infernale e con lo zenit celestiale della «vera città» ove si dispiega quella «candida rosa» nella quale il poeta fiorentino incastona lo stesso Agostino.
Difficile è sintetizzare questo capolavoro a cui il Padre della Chiesa lavorerà tra il 413 e il 427 all'indomani del sacco di Roma, perpetrato nell'agosto del 410 dai Visigoti di Alarico, un evento che non solo scombinerà lo scacchiere politico, ma che costringerà anche a riscrivere le mappe della teologia della storia. E di teologia della storia è appunto il programma che Agostino si prefigge di elaborare muovendosi sostanzialmente lungo due traiettorie: da un lato, egli attacca la città terrena sulla quale si inalbera il vessillo del paganesimo teorico e pratico, intellettuale e popolare; d'altro lato, egli erige il progetto della città di Dio che, però, non spinge solo verso i cieli remoti dell'escatologia, ma che vede già insediata nella storia, ove procede in contrappunto dialettico con l'altra città secolaristica, la quale prende anche il nome di civitas diaboli.
Naturalmente, in questo disegno grandioso si affollano molteplici questioni di vario genere: si va dalla speculazione teologica alla critica filosofica, dagli ammiccamenti storici si ascende al firmamento della mistica, l'etica si incrocia con l'esegesi, la politica si apre all'escatologia e così via in un caleidoscopio tematico che, tuttavia, non si smarrisce mai in un delta scombinato.

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