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Questo articolo è stato pubblicato il 04 settembre 2012 alle ore 09:25.

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Michele Riondino in una foto di scena di "Acciaio" di Stefano Mordini (Ansa)Michele Riondino in una foto di scena di "Acciaio" di Stefano Mordini (Ansa)

Alle Giornate degli Autori, minuti d'applausi hanno bagnato l'anteprima di Acciaio, tratto dall'omonimo romanzo di Silvia Avallone (Premio Flaiano e Premio Campiello Opera prima), qui anche collaboratrice alla sceneggiatura scritta dal regista e da Giulia Calenda. Un consenso meritato per la pellicola di Stefano Mordini, complessa e originale, che si dipana tra la storia di un operaio vecchio stampo e due adolescenti legate da un rapporto esclusivo e profondo.

Due strade parallele e apparentemente inconciliabili, proprio come lo sono le location di Acciaio, Piombino e l'Isola d'Elba, la cittadina industriale e il paradiso turistico, separate da un breve tratto di mare e dall'impossibilità di viverle entrambe, almeno per chi abita in quella periferia schiacciata da una fabbrica che dà la vita- con il lavoro- resituendo morte-con i pericoli che provoca-, come ci ricorda il padre irresponsabile Massimo Popolizio, che preferisce una scorciatoia alla strada giusta, perché con la tuta addosso non ci vuole morire.

Mordini che con Provincia meccanica aveva già tentato, senza troppo successo, la strada di un cinema che travalicasse gli stilemi di quello italiano moderno per scegliere un tono più mitteleuropeo, qui riesce a cucire insieme atmosfere, interpretazioni riuscite e volti per disegnare una parabola generazionale, sociale e sentimentale di grande impatto, con un registro intimistico che costantemente rimbalza, soprattutto visivamente- con gran merito di Marco Onorato (fotografia) e Jacopo Quadri (montaggio), su contenuti più "collettivi".

Il ciclo continuo dell'acciaio è un coprotagonista, rappresentato dall'orgoglioso e faticoso lavoro in fabbrica di Alessio (un Michele Riondino che unisce una fisicità potente a un'interpretazione curata nei dettagli e che "riempie" il film lavorando di talento e cesello), dalle inquadrature sull'acciaieria e da un inserto di repertorio. Ma soprattutto da quella cappa che incombe sulla Piombino di case dimesse e ragazze concentrate sulla loro educazione sentimentale, su una giovane coppia più adulta che si ritrova da dov'è partita e si è persa, per ritrovarsi e poi forse ancora perdersi. Un film di cuore dall'architettura molto razionale, in cui il cuore è il muscolo di chi scopre la vita, di chi cerca di riconquistarsela, di quella fabbrica che ha sempre qualcosa di minaccioso e, allo stesso tempo, rassicurante.

Acciaio, con le sue pennellate accurate e decise, ispirate e realistiche, è difficile da recensire: perché è ciò che si respira, che si prova a fare il film, la storia. Alla linearità si preferisce l'atmosfera, sebbene poi il lavoro di scrittura sappia tenere e annodare i fili nei punti giusti, senza forzature- se non, forse, nell'incontro tra Riondino e una delle piccole protagoniste- e con naturalezza. Non era facile perché le due storie si rincorrono, si sfiorano, pur seguendo velocità e ispirazioni diverse, tenerle insieme e lasciarle correre via è uno dei più grandi meriti del film.

Con esso entriamo nell'umanità di un'Italia che conosciamo bene e fingiamo di ignorare, per pavidità ed egoismo, di quel paese che ora soffre a Taranto, per esempio, con l'Ilva. E che Riondino conosce bene, essendo del quartiere San Paolo di quella città ostaggio di un mostro, economico ed ecologico. Il filo rosso tra cinema e realtà lo tira proprio l'attore, parlando della vicenda che sta lacerando la sua Taranto. «L'unico modo per tener viva l'attenzione sul caso Ilva è strappare la tessera elettorale, non votare né a Taranto né in Puglia. Paradossalmente sarebbe un gesto costruttivo per dare un messaggio alla mia parte politica, la sinistra, che adesso dovrebbe produrre idee e progetti e invece sta solo mirando a delegittimare la magistratura e a produrre altri numeri che si sommano ai numeri delle precedenti perizie per fare passare tutto sotto silenzio. È evidente che le strategie sono mirate a nascondere il problema, a disinnescare una bomba che sta per esplodere». E forse il talento di Mordini sta proprio nel raccontarci la quiete prima della tempesta, la bomba "dormiente" pronta a esplodere.

Che sia un'amicizia strettissima tra due ragazzine - Anna Bellezza e Matilde Giannini, la cui bellezza turba quella "provincia meccanica" e il cui talento, l'istinto per la macchina da presa colpisce per la naturalezza e il carisma con cui l'affrontano - o un'acciaieria che fa sentire tutta la sua pesantezza ineluttabile sul territorio. Perché tutto può cambiare, ma non quel ciclo industriale: neanche di fronte all'indicibile si può perdere un turno di lavoro, un'occasione di produzione.

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