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Questo articolo è stato pubblicato il 06 settembre 2012 alle ore 17:20.

La prima inquadratura di "La cinquième saison" di Jessica Woodworth e Peter Brosens, in concorso alla 69esima edizione della Mostra del cinema di Venezia, sembra un quadro fiammingo. Un uomo segaligno seduto davanti a una tazza di te fumante incita il suo bellissimo gallo fulvo, ritto sul tavolo, a cantare. E quello per tutta risposta decide di defecare proprio sul tavolo. La macchina da presa ruota attorno all'uomo e all'animale come si trattasse di uno scontro western, mentre il te e il rifiuto organico fumano. Finalmente, si pensa. Dopo guerre, stupri, pezzi di corpo tagliati, pistolettate, flagellazioni finalmente alla Mostra del Cinema si fa qualche risata.
E il film di Woodworth e Brosens mantiene la parola per una buona ventina di minuti, infilandosi gigioneggiando in una comunità di un paesino nelle Ardenne, solidale e giocoso, ansioso di rispettare al meglio le tradizioni agresti tramandate nei secoli. Così si assiste alla manifestazione di addio a zio inverno, mentre ognuno si cimenta nella danza locale e porta il suo contributo ad innalzare sulla cima della collina del paese un falò dove proprio zio inverno, rappresentato da un fantoccio di stoppie confezionato a mo di uomo, verrà bruciato per far posto alla primavera.
Alla cerimonia quest'anno ci sono anche due nuovi ospiti, che soggiornano in una roulotte: un sedicente filosofo che ha deciso di fare l'apicoltore e il giovane figlio paralizzato. Tutto procede con festosità tra magnifici paesaggi (spettacolare la fotografia), una coppia di ragazzini che si amano e che rincorrono gli uccelli nel bosco ripetendo i loro versi. Tutto fila con gioia e ironia fino a che, al momento di accendere il falò, il fuoco non prende e zio inverno rimane intatto. E' solo la prima delle stranezze che si verificano nella piccola comunità. Ne seguono altre ben peggiori: le mucche della fattoria non producono più latte, le api muoiono, i semi non germinano e un contadino muore. Nell'atmosfera rilassata del villaggio cominciano i primi segni di squilibrio: in primavera e in estate nevica, il cibo comincia a scarseggiare, l'avarizia prende il posto della generosità e soprattutto si insinua il sospetto che a portare tutta questa mala sorte sia proprio il filosofo con il figlio paralitico.
Mentre le stagioni si susseguono, la situazione peggiora e serpeggia un clima di sfiducia e odio. Solo i bambini e gli adolescenti sembrano accorgersi del clima di pazzia incombente e a cui si oppongono con estrema forza, senza però riuscire a impedire la morte del capro espiatorio. "La cinquime sasion" poteva essere una bella riflessione sulla natura umana, generosa solo in regime di abbondanza, mentre diventano avide, vendicative, orribili nelle difficoltà. Potrebbe, perché i due registi finiscono per peccare di presunzione proponendoci scene eccessive nel tentativo di essere autoriali, fino al punto da irritare lo spettatore. Per non parlare del simbolismo e della retorica delle musiche che lo accompagnano. Peccato, perché l'ironia iniziale era davvero efficace e ben accolta.
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