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Questo articolo è stato pubblicato il 09 settembre 2012 alle ore 08:15.

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«Il giardino dei qualia». In cui si dice che l'universo è quasi interamente buio, ma che le stelle più grandi son più vicine di quanto non si pensi, se le si guarda con lo strumento giusto.
La coscienza gli tornò mentre fuori perdurava il buio. Tastando la terra tutt'attorno, Galileo aprì gli occhi e vide le stelle. Avvertì subito di non essere solo: accanto a lui una donna, il volto come la luna.
E come la luna il volto, illuminato dalla luce tremolante di una lanterna, era costellato di crateri, vestigia di eruzioni dimenticate. Così pensò Galileo. Ma chi era costei, una donna avvizzita come una vecchia quercia, ma più bassa di un manico di scopa? E perché brandiva un cannocchiale?
«Guarda, Galileo», disse la donna. «Guarda questa galassia sfolgorante, bella come io non fui mai».
La galassia era davvero bella, pensò Galileo, difficile pensare che la vecchia, che doveva aver passato la vita in ginocchio a lavare e sfregare, potesse conoscere i segreti del cielo.
«Il cielo è pieno di galassie, e ciascuna contiene milioni di stelle, molte più grandi del sole».
Come mai sai queste cose? chiese Galileo.
«Quand'ero giovane ho lucidato migliaia di lenti», disse la donna tenendo lo sguardo basso. «E qualche volta mi son permessa di puntare la lente verso il cielo, e di scrivere ciò che vedevo».
Chi ti insegnò a osservar le stelle?, insistette Galileo.
«Certo non mia madre», rispose la donna. «Per lei avrei dovuto rimanere sempre in casa, come Cenerentola. Fu mio padre a salvarmi, mi insegnò a lottare sempre, e a migliorarmi, quando la mamma dormiva. Ma poi, ancora bambina, la malattia mi rubò la bellezza. Da allora nessun uomo mi ha voluto, eccetto uno: mio fratello Guglielmo. Egli colse la scintilla dentro di me, la agitò, la alimentò e la accudì. Così mi risolvetti a crescere, a crescere imparando, e appresi qualche parola e tanti numeri».
Una storia strana e commovente, disse Galileo. Ma raccontami, chi ti ha insegnato a osservare le stelle?
«Guglielmo voleva guardare dentro il cielo, sempre più lontano, e si dimenticava persino di mangiare. Mi diceva che bisogna cercare le stelle, sennò cosa ci stiamo a fare qui sulla terra? E così, mentre lui dormiva, cominciai a guardare anch'io».
Anch'io ho lucidato molte lenti, disse Galileo, per perlustrare il cielo. Ma sono venuto in questo giardino per osservare con ben altre lenti: Il maestro molatore (Spinoza) mi ha dato il qualiascopio.
«Ah», disse la vecchia. «Quindi vuoi scrutare le creature viventi e conoscerne le forme segrete. Allora vieni, ma cammina piano, che sono stanca e c'è tanto da vedere».
Verrò, disse Galileo, ma prima voglio puntare il qualiascopio verso il cielo, per sapere la forma di stelle e galassie. E così fece, ma le stelle lo lasciarono deluso, persino la sua Via Lattea. Sotto l'occhio del qualiascopio, ogni stella si trasformava in una cosettina insignificante, una manciata di sabbia opaca. E fatto scorrere il qualiascopio da un lato all'altro dell'universo, lo trovò quasi interamente vuoto; persino i corpi celesti più immensi, le costellazioni venerate da millenni, le galassie più remote, spazi infiniti di là della siepe del giardino, avevano perso la loro gravità, dissolte in polvere grigia senza fulgore.

TAG: Scienza