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Questo articolo è stato pubblicato il 09 settembre 2012 alle ore 08:15.

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La vecchia sollevò la lanterna, così che Galileo potesse osservare una falena, piccola e sciocca, mentre volteggiava verso la fiamma. Con il qualiascopio Galileo guardò nella direzione della falena. Una falena, una falena è più grande di una stella! Una lucciola che trasportava il sole! Come un diamante con un miliardo di facce, come una ragnatela di luce, come una fiamma che avviluppa un tempio, il quale dentro la falena brillava più luminoso del firmamento. Era uno, e non era polvere.
«Guarderai invano rocce e fiumi, nuvole e montagne», disse la vecchia. «La cima più alta è ben piccola paragonata alla minuscola falena».
E così Galileo puntò il qualiascopio tutt'attorno, a cercare i qualia. Sotto l'occhio del qualiascopio il giardino era un sottile vapore grigio, un vapore che non saliva né respirava. Il sole stava sorgendo, ma il cielo rimaneva vuoto. Galileo guardò un albero maestoso con l'occhio sinistro, poi lo chiuse e scrutò nel qualiascopio col destro. L'albero si dissolse in un disegno, tracciato con una penna grigia sottile, nella luce tenue del mattino.
Galileo si guardò attorno e allargò il campo del qualiascopio. Dal vapore scuro della terra si ergevano altri diamanti, fulgidi quanto la falena. Ma ancor più risplendente, ancora più brillante e più maestoso, era il sole gigantesco della civetta.
«Altro che le mie comete», esclamò la vecchia. «Un'immensa aureola sulla testa della civetta che fiammeggia nel cielo del mattino, più intricata di una trina di trine». La vecchia aveva spento la lanterna e ora faceva cenno verso il bosco. Laggiù, immerse nella bruma, erano altre comete e altre stelle, un'intera galassia in un solo colpo d'occhio. Levandosi dal sonno, gli animali via via accendevano i lumi.
«Dentro dai fuochi son gli spirti; catun si fascia di quel ch'elli è inceso», pensò Galileo. Fiamme che danzavano, tremolavano, di forme che cambiavan senza fine. Cattedrali di fuoco, construite e ricostruite a ogni istante. Ciascuna brillava dal di dentro, di quella luce che vede, non della luce che vuole l'occhio per esser vista.
La vecchia lo prese per mano. Erano ormai fuori dal giardino. Ma dove? Un convento, un ospedale, o un cimitero? Là giaceva Copernico, col capo che portava la candela più fievole. Poi vide Ishma ed El, che in una fiamma divisa, bicorne, danzavano come Ulisse e Diomede. E infine Galileo vide il filosofo, null'altro che brace addomesticata dal sonno. Ma poi il fuoco si ravvivò e si slanciò verso l'alto, come una cattedrale che avvampa, e così seppe che il suo sogno era – egli era il sogno – un sogno più carico d'essere che tutte le pietre e le vetrate di Chartres.
E così Galileo comprese, e volse il qualiascopio verso la vecchia avvizzita. Una sottile spira di polvere si sollevò dal pavimento scuro, e sopra, dietro le rughe e i crateri, brillò la costellazione di Carolina, informata di miriadi di simmetrie - la bellezza nuda dell'anima eclissava i vestimenti della carne.
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