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Questo articolo è stato pubblicato il 24 settembre 2012 alle ore 19:12.

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Certo, verrebbe da pensare alla spocchia del trend setter che ha letto il tuo libro preferito prima di te. Anche qui si tratta di esperienze estetiche; anche qui, sembra che l'idea di essere i primi a farne esperienza aggiunga qualcosa all'esperienza stessa. (È vero anche il contrario: «Non li ascolto più, troppo mainstream…»). Ma è evidente che rispetto al turismo le cose stanno diversamente: il fatto stesso di avere una guida implica che qualcuno ci avrà preceduti. Per di più, la rapidità con cui si propagano le informazioni interessanti, e la facilità con cui vengono reperite, rende sempre più irrealistico il mito dell'"angolino tipico che nessuno ha scoperto": magari c'è, quell'angolino, ma probabilmente fra due anni avrà un gruppo di estimatori su Facebook e tremila check-in su Foursquare.

Un'altra spiegazione può essere quella mistificazione trasognata che ricade nella generica categoria della filosofia del "viaggio". L'argomento va più o meno così: il viaggio è un'esperienza interiore, raccolta, solitaria; il contatto estetico con la cultura lontana si può fare solo in privato, nell'intimità, o al massimo con un paio di buoni amici col cellulare spento. Questa spiegazione sembra plausibile, però non fa altro che spostare il problema. Altre esperienze che sono solo in parte estetiche, come guardare una partita di calcio, sono amplificate, non disturbate, dalla condivisione con altre persone; sarebbe un controsenso tifare una squadra sperando che nessun altro lo faccia. Come mai nel caso del viaggio è diverso? La filosofia del viaggio non spiega niente; tutt'al più intorbida le acque con un elegante polverone ocra rossa e terra di Siena, ma sott'acqua le domande restano.

Si moltiplicano, pure: certe volte non serve la presenza di altri turisti per far sentire la mancanza di qualcosa. Ne parlavo con un amico, che mi stava raccontando di essere stato a Petra e di averla trovata, ovviamente, fantastica e mozzafiato e incredibilmente struggente con la luce dell'alba. L'unico fastidio, mi ha detto, è che fra le rovine si notavano certe costruzioni squadrate di cemento, che ospitavano mercatini di souvenir e ristoranti per turisti. Ci siamo chiesti se quelle costruzioni sarebbero risultate altrettanto fastidiose se fossero state destinate agli abitanti del luogo. (Certo: l'economia del turismo è a beneficio quasi esclusivo degli abitanti del luogo, quindi la distinzione non regge, ma in superficie funziona, e bene così). In quel caso, era evidente, quelle costruzioni ci sarebbero apparse più giustificate. Abbiamo quindi due immagini mentali identiche, due vedute di Petra; eppure basta un legame col turismo perché una di esse appaia subito aver perso qualcosa. È una specie di credenza animistica: una distinzione invisibile agli occhi è tuttavia, a modo suo, cruciale.

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