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Questo articolo è stato pubblicato il 07 ottobre 2012 alle ore 08:15.

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La prima lezione è di quelle che ti ricordi: forse la più importante. Noma Bar entra in una delle aule della facoltà di Architettura dell'Università di Ferrara. Tutto vestito di scuro, ha ancora gli occhialoni da sole che si leva subito e un berretto che, invece, non si toglierà mai, insieme al sorriso e alla tranquillità. Si scusa del ritardo e comincia a parlare: «Non so cosa faremo. Usciamo di qui, ci perderemo per le strade della città. È un posto dove non sono mai stato prima, cercheremo di reagire a quello che ci circonda, fotograferemo particolari che suscitano la nostra attenzione. Il nostro lavoro, vi accorgerete, non è tanto sulla grafica, è sul narrare storie». Detto fatto, tutti fuori. Noma è un folletto curioso. Indaga con lo sguardo, inizia a fotografare cartelli stradali, insegne, pezzi di muro, finestre, bidoni della spazzatura. Spiega il metodo del workshop a grandi linee, più che altro applicandolo. «È così eccitante quando, osservando una cosa, riuscite a vederne invece un'altra. Basta allenare lo sguardo, scorgere in cose familiari e quotidiane altri disegni, altri soggetti, altre storie». Appunto. Vedere, insomma, con occhi diversi la realtà, scartando l'impatto immediato – spesso banale – per scoprire quello nascosto – spesso pieno di tesori.
Noma Bar è oggi uno degli illustratori più importanti, innovativi e conosciuti del mondo. A Ferrara è arrivato su invito della rivista «Internazionale» al festival del settimanale diretto da Giovanni De Mauro, giunto alla sesta edizione e che si conclude oggi, con un successo clamoroso nei numeri, nobilitato da un pubblico giovane e attento e da una qualità degli interventi e dei dibattiti fuori discussione. A «Internazionale» Noma Bar collabora da qualche anno; ha firmato alcune delle copertine e delle illustrazioni più riuscite: quella con il ritratto di Gheddafi è valsa (a lui e alla rivista) numerosi premi. Il suo stile, inconfondibile, lo colloca nel ristretto gotha degli illustratori che già contano e che conteranno anche di più in futuro.
Israeliano, nato nel 1973, dopo gli studi di grafica a Gerusalemme ha deciso di andare a vivere e perfezionarsi a Londra. «Nel 2000, quando sono arrivato in Inghilterra, non sapevo una parola di inglese. I miei studi sulla tipografia ebraica erano inservibili ma, in un modo inaspettato, mi sono venuti incontro. Gli strumenti principali di un tipografo sono le lettere e le parole e io ero immerso in una terra e in un linguaggio stranieri. Cercavo di esprimermi, ma senza avere gli strumenti. Così ho iniziato a usare pittogrammi, icone, e tutti gli strumenti di comunicazione non verbale che trovavo. E ho sviluppato il mio proprio linguaggio». Che, per l'appunto, è fatto di icone. Di segni grafici netti e molto sintetici ma con qualche elemento (decisivo) in più.
Il disegno di Noma non si esaurisce mai in quello che si vede, e questa forse è la sua caratteristica più forte ed evidente. Negli anni il grafico israeliano ha sviluppato una tecnica vincente: quella di guardare non solo al pieno della figura ma di ricavare significati anche, e spesso soprattutto, dal vuoto. Usando il cosiddetto «spazio negativo», quello che sta fuori dalle linee di confine di un disegno, fatto per lo più dal bianco della superficie su cui si disegna, ma che, se visualizzato bene, può far scaturire un altro elemento. Lo spazio negativo crea fatalmente un secondo livello di lettura che permette a chi guarda di fare delle scoperte, a volte piccole, a volte grandi. Proprio come dice e cerca di far notare a Ferrara Noma ai suoi allievi.
Guardate, per esempio, l'intervento di Noma su un adesivo trovato per caso. Un uomo che spara: questo ha disegnato l'anonimo autore dello sticker. Nell'incavo del braccio, invece, Bar scorge «a small life», un po' di vita, una piccola, e possibile, esistenza. Disegna rapidamente un fantasma: forse, adesso, si sa a cosa sta sparando quell'uomo e tutto il disegno prende una piega diversa: ora sì che racconta una storia. O, più seriamente, guardate un esempio del negative space nell'ultimo, importante, lavoro che gli è stato commissionato per la serie Vintage di Random House, in libreria in questi giorni: il rifacimento di tutte le copertine dei romanzi di Haruki Murakami (a proposito: è in previsione di Nobel, la settimana prossima, stai a vedere che gli americani hanno subodorato la cosa e si sono preparati per tempo...). Una strada e un albero al tramonto che, in realtà, nascondono anche il volto di un uomo. Si tratta di uno dei lavori tra i più semplici tra quelli di Noma. Al contrario, le copertine recenti per la serie sul design di «Wallpaper», i poster per il Victoria & Albert Museum o la serie di grafiche elaborate per le campagne pubblicitarie di Ibm costituiscono un raffinato livello della sua espressività. Una tecnica personalissima che, nel tempo, si è dispiegata oltre che con il negative space con i ritratti. Anzi, è stato proprio un ritratto, quello di Saddam Hussein, ottenuto solo con il simbolo del radioattivo giustapposto a una divisa a dargli la prima fama. I suoi ritratti riuniti nel volume Guess Who e i suoi disegni positivo-negativo raccolti in Negative Space (entrambi editi da Mark Batty Publisher) sono stati esposti in numerose mostre; la prossima aprirà il mese prossimo ad Amsterdam.
Gli studenti del workshop cominciano a mostrare i primi elaborati. Una trentina tra illustratori, grafici, architetti si cimentano con la loro creatività: dovranno produrre dei poster con le immagini – rielaborate – che hanno "raccolto" per strada. Noma ha una tecnica di insegnamento molto open, forse più adatta a chi deve ancora trovare la sua strada – i partecipanti anche qui sono mediamente molto giovani – che ai professionisti già qualificati. Ma anche questo è un modo, tutto sommato, per far trovare ai partecipanti una voce propria attraverso la libertà (anche di sbagliare). Gli elaborati e i risultati del workshop, che si chiude questa mattina, saranno poi inseriti nel sito di «Internazionale».