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Questo articolo è stato pubblicato il 18 ottobre 2012 alle ore 18:16.

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Le lunghe gambe accavallate e lo sguardo indolente, seduta con nonchalance a seni nudi su un trono di vimini, nel 1974 fece scandalo fin dal manifesto di Emmanuelle, il film erotico di Just Jaeckin, diventando un simbolo della liberazione sessuale anni Settanta. Non è mai riuscita a scrollarsi di dosso quel ruolo Sylvia Kristel, morta stanotte nel sonno a 60 anni appena compiuti, uccisa dal cancro che l'aveva colpita da tempo. La sua agente Marieke Verharen, che ha dato notizia della scomparsa, non ha voluto rivelare se è morta a casa o in ospedale ad Amsterdam dove era ricoverata da luglio ed ha precisato che il funerale dell'attrice sarà in forma privata.

Kristel aveva appena vent'anni quando fu scelta su tremila candidate per interpretare una giovane donna oziosa, annoiata dal ricco marito, che si lascia sedurre da due sconosciuti su un volo per Bangkok e qui si rivolge a professore di erotismo per essere iniziata ai giochi dell'amore. Tratto dall'omonimo romanzo di Emmanuelle Arsan, il film fu un tale successo che sequel e remake si moltiplicarono, sette per il grande schermo - da Emmanuelle l'antivergine (1975) a Goodbye Emmanuelle (1977) - e oltre 30 per la tv.

Emmanuelle, un cult dell'eros al cinema, sbancò i botteghini nel mondo, nonostante il divieto in sala a 16 o a 18 anni secondo i paesi: 50 milioni di spettatori (oltre due milioni e mezzo solo a Parigi) saliti, secondo stime che calcolano anche l'home video, a 250 milioni.

Ma la vita dell'attrice, nata a Utrecht, in Olanda, il 28 settembre 1952 da una famiglia di albergatori, fu una specie di calvario, come lei stessa raccontò nel 2007 nell'autobiografia Svestendo Emmanuelle.
A nove anni la futura icona del cinema a luci rosse ebbe il primo incontro ravvicinato con il sesso e fu scioccante: un manager dell'albergo gestito dai genitori abusò di lei. Altro trauma a 14 anni: il padre piantò la madre per un'altra donna, un tradimento che Sylvia non riuscì mai a perdonargli e che la spinse a intraprendere con ancora più grinta la carriera di modella e poi di attrice: «Volevo - confessò - che mio padre guardasse a me, prendesse atto del mio successo».

La svolta con Emmanuelle: malgrado le scene molto osè, si decise al gran passo con la benedizione del poeta quarantaquattrenne Hugo Claus, belga, suo convivente. Quando l'uomo la piantò, l'attrice iniziò a bere, passò da un amante all'altro (anche Gerard Depardieu e Warren Beatty) e nel 1975 nacque il suo unico figlio: Arthur. Dopo un tempestoso amore con l'attore Ian McShane durato cinque anni e destinato a naufragare in un gorgo di alcool e cocaina, fece le valigie da Hollywood e nel 1982 ritornò in Olanda con il fegato spappolato dai liquori. Sentendosi «vagamente innamorata», sposò tre anni più tardi un cineasta francese, Philip Blot mentre continuò a recitare in film di serie B, spesso con poco o nulla addosso.

Tra tanti Emmanuelle anche alcuni altri film da citare, come Giochi di fuoco di Alain Robbe-Grillet nel 1975 con Jean Louis Trintignant, Una femmina infedele di Roger Vadim (1976), Letti selvaggi di Luigi Zampa (1979), Un amore in prima classe di Salvatore Samperi, Airport '80 e L'amante di Lady Chatterley, entrambi del 1981; nel 1987 recita in Casanova di Simon Langton accanto a Richard Chamberlain e Faye Dunaway. Nel 2010, già malata, è nel cast della fiction Rai di Maurizio Zaccaro Le ragazze dello swing, suo ultimo lavoro.

Nel 2004 il cancro alla gola, propagatosi poi ai polmoni, e la morte dell'ultimo compagno, un produttore radiofonico belga. Nell'autobiografia si definiva «un'attrice invecchiata, un'artista in convalescenza e una donna finalmente in grado di mettersi a nudo». Quanto a Emmanuelle, diventato intanto un piccolo, patinato classico dell'erotismo in celluloide, «in confronto alla pornografia di oggi - scriveva - è una specie di Alice nel Paese delle Meraviglie».

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