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Questo articolo è stato pubblicato il 23 ottobre 2012 alle ore 08:01.

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L'ultima puntata di Amici, del Grande Fratello, di X Factor o dell'Isola dei Famosi finisce sempre così. Rispetto ad altre manifestazioni di eccezionalità sociale, i coriandoli sparati dai cannoni hanno sempre la caratteristica di produrre un senso di festa immediato, inconfondibile, di sicura efficacia, anche se velato di una sottile malinconia da fine di tutto, da invitati sbronzi addormentati sui tavoli vuoti. L'effetto è probabilmente legato alla minore efficacia televisiva dell'esperienza in questione, con i primi piani che evidenziano i foglietti colorati finiti nelle orecchie dei protagonisti, incollati al fondotinta. Come altre pratiche sfrenate, anche quella del bagno nei coriandoli funziona meglio se ci si partecipa, e decisamente peggio se la si osserva dal riparo della propria casa.
Nel pop si usano sempre più spesso i coriandoli diffusi sul pubblico, ma con risultati molto diversi a seconda del contesto. La versione più zuccherosa è quella dei Coldplay, ormai diventati dispensatori di bontà, sorrisi e noia, dopo la progressiva ripulitura della loro musica da qualsiasi sfumatura vagamente sexy, per lasciare spazio solo un abbraccio collettivo taumaturgico, a un passo dalle fotografie di Anne Geddes con i neonati che dormono sui petali di rosa.

Nel loro ultimo tour, quello dell'album Mylo Xyloto, insieme a cuoricini e luci multicolori c'erano tenerissimi coriandoli. Sembrava, in quel contesto, che il coriandolo servisse a certificare l'assoluta sicurezza dei sentimenti in gioco, innocui e adatti a un pubblico di minori: una specie di legge 626 delle emozioni, più da oratorio che da palazzetto. Del tutto diversi sono i coriandoli di cui si viene letteralmente inondati in un concerto dei Flaming Lips, il gruppo che in oltre 20 anni di carriera ha ribaltato il rapporto tra psichedelia e spettacolo. In un concerto della band dell'Oklahoma, anche se si è a Grugliasco, vicino alla tangenziale di Torino, come mi è successo un paio di mesi fa, i coriandoli sono il segno incontestabile dell'onnipotenza immaginifica della loro musica, di come in quel contesto possa succedere qualunque cosa, non ci sia da stare tranquilli e allo stesso tempo non si possa che lasciarsi andare: sesso, droga, sangue, spazzatura, televisione, incubi, utopie, amore, morte, gioia e dolore, tutto in uno tsunami di foglietti colorati soffiati dai folli sul palco. L'idea inquietante del Carnevale, quella in cui l'abbandono delle convenzioni diventa un'avventura rischiosa ai confini della propria identità, è quasi del tutto scomparsa dal nostro immaginario. Sopravvive nelle scene dell'orgia di Eyes Wide Shut, ma senza la pioggia colorata, senza i sorrisi.

Eppure ogni volta che i coriandoli vengono sparati nel cielo con l'intento di ufficializzare l'inizio della fine, il via allo straripamento collettivo, per inondare gli occhi e suscitare sorrisi senza motivo, dentro quel gesto c'è una consapevole e deliberata sospensione della realtà, del rapporto causa-effetto, della coscienza di come tutto sia futile e transitorio, della crisi e dei problemi in cui ciascuno galleggia. Sparisce tutto all'istante, e funziona da sempre nello stesso modo, dal primo trucco zuccherino di un cerusico della Mesopotamia intenzionato a trasformare le medicine amare in dolcetti, fino al trionfo televisivo di un'adolescente intonata che canta canzoni altrui.

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