Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 31 ottobre 2012 alle ore 09:35.

My24
La jazz singer Diana Krall si (s)veste da regina del burlesque per «Glad Rag Doll»La jazz singer Diana Krall si (s)veste da regina del burlesque per «Glad Rag Doll»

È cosa risaputa che chi pratica lo zoppo impara fatalmente a zoppicare. Prendete Diana Krall, per esempio: la pianista e cantante di jazz dopo aver accompagnato nientemeno che Paul McCartney in «Kisses on the bottom», swingante album di febbraio scorso in cui l'ex bassista dei Beatles reinterpretava gli standard amati dal compianto padre, pubblica adesso «Glad Rag Doll». Né più né meno che un viaggio musicale nella collezione di 78 giri di papà.

Esperimento interessante, in ogni caso: la Krall, con l'aiuto sapiente di T-Bone Burnett nelle vesti di produttore, riporta il calendario indietro agli anni Venti e Trenta. A cominciare dalla copertina che la ritrae in guepiere e calze di seta, come fosse una regina del burlesque. E, battute a parte, è un bel vedere perché la musicista canadese sa spogliarsi con grande naturalezza delle vesti di patinata caposcuola dello swing degli anni Duemila e avventurarsi in territorio impervi come il blues, il folk, addirittura anche il country e la musica da minstrel show. Per capirci: una volta tanto, nella sua discografia, lo strumento dominante non è il pianoforte quanto piuttosto la chitarra acustica affidata alle mani di Marc Ribot, amico intimo del di lei marito Elvis Costello. L'opera si apre con «We just couldn't say goodbay», uno slow swing che porta la firma di Harry M.

Woods, per decenni punto di riferimento di Tin Pan Alley. Non vi lasciate ammaliare troppo: lo sberleffo di «There ain't no sweet man that's worth the salt of my tears», già cara a Bing Crosby è prossimo.

Il 1927 fu un anno intrigante, non solo per James Joyce: Franklyn Baur vi incise la soave «Just like a butterfly that's caught in the rain» che la Krall trasforma in una malinconica nenia jazzy. In «You know, I know,

Everything was made for love» l'ukulele di Howard Coward ci trascina in un'atmosfera da speakeasy: alcol, fumo, pupe imbellettate, carte francesi e irruzioni della polizia. «Glad Rag Doll», canzone che dà il titolo all'album composta nel ‘28 per l'omonimo film di Michael Curtiz, vede la chitarra di Ribot salire in cattedra seguendo con un sinuoso arpeggio la voce della Krall negli angoli più nascosti del femminile. «I'm a little mixed up», blues appena un po' sporcato dall'overdrive, non sfigurerebbe in un disco di Tom Waits mentre «Praire lullaby» è un'orecchiabile ninnananna che vede la pianista canadese avvicinarsi al territorio di solito frequentato da Norah Jones e compagnia. Sulla stessa lunghezza d'onda «Here lies love», brano con un intro dominato dal pianoforte della Nostra. «I used to love you but it's all over now» vanta innumerevoli versioni, tra cui quella di The Voice, ma la Krall riesce a cavarsela con quel gusto che la contraddistingue sin dagli esordi dei primi anni Novanta.

Di nuovo una ballad, «Let it rain» scritta a metà dei Twenties da Hal Dyson e James Kendis, rapprsenta forse il momento più alto del disco: incedere da marcia folk, vellutata voce di Diana, assolo incontenibile di Ribot. Fate attenzione ché ci potrebbe scappare pure una lacrimuccia.

Poi arriva a fulminarti lo swamp blues «Lonley Avenue», omaggio al grande Doc Pomus con T-Bone che imbraccia la chitarra e Marc che si diverte al banjo.

Esaltante pure «Wide river to cross», imprevedibile concessione al country di Buddy Miller. Si chiude con la malinconia circense di «When the courtain comes down». Gli anni d'oro del burlesque sono davvero a un passo.

Diana Krall
«Glad Rag Doll»
Verve

Commenta la notizia

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi