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Questo articolo è stato pubblicato il 04 novembre 2012 alle ore 13:32.

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Il bronzo è una lega metallica composta di rame, di stagno e in minore quantità di zinco, di argento o di altri metalli. Dunque l'aspetto finale del materiale, al di là di ogni considerazione artistica, non è mai lo stesso. Inoltre la superficie muta notevolmente quando viene patinata con vernici o lacche che la unificano o ne cambiano il colore, seguendo il gusto dell'epoca o l'estro dei singoli artisti. Una scultura in bronzo approntata in India appare sempre molto diversa da un lavoro eseguito in Grecia: e qui, lo ripeto, non parlo di forma o di stile ma del materiale vero e proprio con cui è fatta.
«Bronze», la straordinaria mostra che si tiene alla Royal Academy a Londra fino al 9 dicembre, è una scelta paradigmatica di quanto gli uomini hanno fatto in questo campo per secoli in luoghi molto diversi della terra. Si è affrontato un impegno pressoché impossibile da assolvere. La visione tematica e qualitativa che gli organizzatori si sono prefissi è costretta a ignorare divisioni geografiche e stilistiche ubbidendo più all'occhio che al pensiero. Si intende imboccare una via oggi poco frequentata, quella del gusto e dei valori estetici. Nei vari saggi che accompagnano il catalogo, orchestrato dall'abilissimo David Ekserdjan (professore universitario esperto nella pittura italiana del Cinquecento) si tesse un supporto di fatti e di informazioni storico-artistiche ma a mio avviso è impossibile unire il diavolo e l'acqua santa senza essere arbitrari. Così non posso evitare di chiedermi che abbia da spartire un bronzo del Tamil Nadu con uno del Benin o uno di Milano: sono opere eseguite in Continenti diversi, a centinaia di anni di distanza. E si resta ancor più sorpresi nel vedere questi lavori vicino a strumenti liturgici cinesi o a creature mitologiche greche, etrusche o romane.
Che accade in queste stanze? Un trionfo di forza e di maestria che ci lascia qui attoniti, là meravigliati, ovunque felici. Felici con gli occhi, e perché no? È una delle poche mostre in cui i visitatori scrutano le opere d'arte invece di leggere i cartelloni dettati dai burocrati della bellezza. D'altra parte non ricordo di aver mai visto un insieme di lavori totalmente opposti in pace fra loro seppur senza capirsi. Le opere d'arte, come le persone, parlano lingue diverse e se in molti sappiamo intendere il francese non per questo capiamo il russo o lo hindi. Ma quasi tutti ci illudiamo di capire ciò che è bello in qualunque modo esso venga espresso. Sbagliamo certamente ma d'altra parte non è sempre obbligatorio capire ciò che si ama. Qualunque uomo occidentale abbia avuto una pur semplice formazione culturale intende con facilità i legami dell'arte europea con quella dell'antichità greco-romana. La scelta della Royal Academy è impeccabile e la maggior parte degli oggetti esposti è di straordinaria qualità. Chi non sia andato a Mazara del Vallo a vedere il Satiro danzante – trovato da un pescatore siciliano nelle proprie reti nel 1998 – dovrebbe farlo adesso. È un lavoro impareggiabile, opera forse di Prassitele, che indovina il senso di movimento e la follia della danza.
Se conosco abbastanza bene quei bronzi di Ercolano e di Pompei esposti ora a Londra, ho visto invece poche volte il Montone di Palermo e mai così bene come adesso, dopo il restauro portato felicemente a termine cinque anni fa. Ancor più straordinario è il ritratto di un animale umano che quasi nessuno ha mai potuto vedere finora, l'effigie di un re dell'antica Tracia trovata non molto tempo fa in Bulgaria. È un lavoro di un realismo prezioso (se si accetta l'apparente contraddizione) in cui la resa dei particolari arriva a essere più vera del vero, le rughe segnate una a una, gli occhi incastonati di alabastro e pasta vitrea per renderli vivi. In quel volto tutto è meticoloso ma impassibile, come in un disegno di Holbein o in un lavoro del bronzista amato dai Gonzaga, Jacopo Alari Bonacolsi detto l'Antico. Quel che dico può essere verificato nella mostra stessa dove si trovano la testa del re tracio e un busto dell'Antico: vennero eseguiti a duemila anni di distanza ma si apparentano per sensibilità e perfezione plastica. Non amo usare questi paragoni o giustificazioni soggettive ma anche se l'Antico non poté mai conoscere il bronzo oggi a Sofia, devo ammettere che esistono affinità al di là di ogni spiegazione plausibile.
Nella mostra di Londra la parte del leone è toccata all'Italia: più di trenta bronzi su un totale di poco meno di centosessanta. È giusto che così sia almeno dal punto di vista di noi occidentali. Non a caso va ricordato che alcuni dei lavori antichi esposti o menzionati nel catalogo si trovano o si trovavano in Italia. La continuità fra il mondo classico e il mondo nuovo non si interrompe mai da noi.
Il Gotico, che è stile nordico, in Italia viene capito in modo soggettivo e la memoria dell'antichità sovrasta ogni cosa. Un'opera magnifica che spiega l'ambivalenza di alcuni grandi artisti italiani del primo Rinascimento è il Santo Stefano di Lorenzo Ghiberti, della chiesa di Orsanmichele a Firenze: il volto con gli occhi parlanti, resi veri da lamine d'argento smaltato, appare come la personale trascrizione di un lavoro ercolanense. Ma il drappeggio della veste non si adegua affatto all'antichità; esso si avvolge al corpo con la dolcezza ondulata di una seta gotica, totalmente anticlassica. Si potrebbe qui ricordare quanto Lorenzo Monaco andava dipingendo a Firenze in quegli stessi anni, attorno al 1420.

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