Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 09 novembre 2012 alle ore 11:23.

My24
Nella foto una scena del film "Argo" di Ben AffleckNella foto una scena del film "Argo" di Ben Affleck

Dieci uscite, dopo due settimane piene di piccoli e grandi gioielli, torna la quantità preferita alla qualità. E allora proviamo noi a fare una scrematura, parlando del poker che, per divi o contenuti, ruba più l'occhio. Da vedere, e in fretta, ad esempio, La nave dolce. Un documentario che va ben oltre il genere, che sembra un prequel di Diaz, per impegno civile ma anche per struttura narrativa e intenzione etica ed estetica, che ha il ritmo del thriller e la forza d'analisi politica e sociale dei grandi film civili. Daniele Vicari racconta la nave Vlora che nell'agosto del 1991 portò ventimila albanesi al porto di Bari: accecati dal crollo dell'economia comunista del loro paese e dall'idea che s'erano fatti dell'Italia, tramite la tv, cercarono una speranza. Trovarono l'orrore: una massacrante attesa sui moli e poi una prigionia a cielo aperto nello Stadio delle vittorie. Misure da dittatura sudamericana che confermavano e rilanciavano una gestione politica dell'ordine pubblico. Una gestione infame, peraltro, disumana e inefficace, visto che il 10% di quella massa di clandestini sfuggirono a quelle maglie pur strette e al rimpatrio altrettanto bestiale.
Vicari, coadiuvato dalla stessa squadra di Diaz – su tutti il montatore Benni Atria (presto sarà il Maradona della sua categoria) e il musicista Teho Teardo – prende una storia sconosciuta e fondamentale e utilizzando il binario parallelo della parola (le testimonianze sono in una stanza bianca, così da dare a quest'ultima e a chi la pronuncia la forza massima) e dell'immagine con grande maestria, con la sensibilità dell'autore ma anche del mestierante di genere. Ed è proprio così che il cineasta riesce a comporre un piccolo grande capolavoro.

Lo è, a sorpresa ma non troppo, anche Argo di Ben Affleck. Spy-story serratissima, divertente racconto di una Cia arruffona che si affida a elementi geniali (che poi emargina), questa pellicola sembra uscita dai tempi di Pollack, sembra offrirci un regista che si inserisce, per talento e collocazione cinematografica, tra Redford e Eastwood. Un mediocre attore è diventato un cineasta d'alto livello che prende una vicenda vera, avvenuta a fine anni '70 nell'Iran della rivoluzione di Khomeini, per raccontare anche l'attualità. Allora come oggi la partita è Usa-Iran, e Affleck lo sa: sfrutta il tutto per divertirsi raccontando come anche il cinema possa essere strumento di guerra, sabotaggio, salvataggio, di come l'immaginario possa giocare con la Storia. Il genere, poi, viene rispettato come si faceva un tempo, per costruire una spia classica, ma anche anticonformista. Ne viene fuori una pellicola che sembra un orologio svizzero per la perfezione dei suoi ingranaggi e dei suoi tempi. E alla fine, quando vedrete un aereo, lo seguirete in apnea, come se foste seduti lì.

Molto deludenti, purtroppo, Castellitto e De Niro. Il primo porta nelle sale Venuto al mondo, tratto dal bestseller omonimo della moglie (e già Premio Strega) Margaret Mazzantini: lodevole come coproduzione europea, italo-iberica, dal budget consistente, risulta però confuso e disarmonico nel racconto. La storia di Penelope Cruz, donna sterile che vuole a tutti i costi divenire madre, si intreccia con la guerra nell'ex Jugoslavia, vista da Sarajevo. Se la città, nella sua anima curiosa, colta e creativa, viene raccontata bene – pochi sanno che quel luogo di dolore, prima del conflitto, era un meraviglioso coacervo di idee e culture – tutto il resto, dalle dinamiche relazionali ai tanti sentieri narrativi, invece risulta poco convincente. Vorrebbe colpire forte Castellitto, "farci male", ma in verità porta tutto sopra le righe, impedendoci di entrare dentro il film, emotivamente e intellettualmente. Anche peggio Red Lights, ennesimo progetto in cui Robert De Niro, qui di fronte a un volenteroso Cillian Murphy, gigioneggia senza sosta e senza motivo. Qui, peraltro, è aiutato da un soggetto che si basa su un sensitivo potentissimo che può far tutto, o quasi. E su un colpo di scena finale davvero banale nel suo voler stupire. Non si capisce del genere perché un campione così si ostini a giocare in serie minori. E così male, peraltro.

Commenta la notizia

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi