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Questo articolo è stato pubblicato il 10 novembre 2012 alle ore 13:37.

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La conferma è giunta dal suo editore: Philip Roth, una delle più grandi voci della letteratura statunitense, intende smettere di scrivere. Lo ha detto a una rivista francese, Les Inrocks, il mese scorso, ma la cosa è passata quasi inosservata, tanto più negli Stati Uniti, fino a quando ieri il sito Salon non l'ha ripescata e ha chiesto conferma all'editore Houghton Mifflin.

A 78 anni, l'autore di "Pastorale americana" ha spiegato alla rivista francese che non scrive più nulla da tre anni e che non scriverà un altro romanzo: «a dirvi la verità, ho finito. Nemesi sarà il mio ultimo libro». Rivelazione che è rimbalzata sui siti statunitensi; il New Yorker dedica un devoto pezzo a Roth, ricordando che «il suo livello di produzione letteraria da quando era un ventenne fino ai 75 anni è stato straordinario quanto i libri in sé».

Per gran parte della vita, ricorda la rivista Usa, «Roth ha vissuto da solo, a Manhattan e nelle campagne del Connecticut, passando lunghe giornate alla sua scrivania, un podio alto per risparmiare la schiena, e i romanzi, da "Goodbye Columbus" a "Nemesis", arrivavano quasi ogni anno, senza cali di qualità, solo cambiamenti».

Una continua tensione per la scrittura: sul New Yorker, David Remnick ricorda di quando Roth, che aveva da poco pubblicato "La macchia umana", gli raccontò che aveva ridato a un amico un gattino dopo un paio di giorni perchè "lo distraeva troppo".

E che quattro anni fa gli aveva confidato di aver cercato di spezzare questa "fanatica abitudine" di scrivere, per cercare uno stile di vita alternativo. «Sono andato al Metropolitan e ho visto una bellissima mostra. Fantastica. Quadri incredibili. Ci sono tornato il giorno dopo. Bellissimo. Ma poi cosa avrei dovuto fare, tornarci una terza volta? E quindi ho ricominciato a scrivere». Forse, Philip Roth adesso ha trovato dei sostituti alla scrittura.

Di certo, il suo silenzio peserà sulle schiere - milioni e milioni - dei suoi affascinati lettori. Roth ha detto alla rivista francese Les in Rocks che quando ha compiuto 74 anni ha cominciato a rileggere tutti i suoi autori preferiti - Dostoyevsky, Conrad, Turgenev, Hemingway. Poi «ho deciso di rileggere tutti i miei libri cominciando dall'ultimo, 'Nemesi'. Volevo vedere se avevo perso tempo a scrivere. Ma nel complesso mi è sembrato un successo. Alla fine della vita il pugile Joe Louis disse «Ho fatto del mio meglio con i mezzi a mia disposizione». E' esattamente quello che direi del mio lavoro».

Ma «dopo di ciò ho deciso che avevo chiuso con la narrativa. Non voglio leggerla, non voglio scriverla, e non voglio nemmeno parlarne. Ho dedicato la vita ai romanzi: li ho insegnati, scritti e letti, a esclusione di quasi qualunque altra cosa. Basta!» E alla domanda se potrebbe scrivere un altro libro, Roth ha risposto «non credo che un altro libro cambierebbe quello che ho già fatto, e se lo scrivessi probabilmente sarebbe un fallimento. Chi ha bisogno di leggere un altro libro mediocre?». E aggiunge che nel suo 'pensionamento' non c'è nulla di strano. «Guardiamo E. M. Forster.

Smise di scrivere romanzi a quarant'anni. E io che ho scritto un libro dopo l'altro, adesso non scrivo più nulla da tre anni». Anche l'idea di una biografia lo lascia freddo: eppure ha firmato quest'anno un accordo di cooperazione con Blake Bailey, autore di biografie di John Cheever e Richard Yates. Bailey ha accesso libero ai suoi archivi, ma Roth ha spiegato a Les in Rocks di aver lasciato disposizioni nel suo testamento affinché tutto sia distrutto dopo la sua morte: «Non voglio che le mie carte vadano in giro. Non deve leggerle nessuno».

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