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Questo articolo è stato pubblicato il 11 novembre 2012 alle ore 15:47.

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Jacopo de' Barbari, «Ritratto di Luca Pacioli», l'umanista cui si deve la nascita della partita doppiaJacopo de' Barbari, «Ritratto di Luca Pacioli», l'umanista cui si deve la nascita della partita doppia

Il Manifesto della Cultura del Sole 24 Ore ha proposto un percorso in 5 punti, che riportiamo a fianco, per dare alla produzione culturale un ruolo centrale all'interno del modello di crescita futura del nostro Paese. A pochi giorni dagli Stati Generali della Cultura che danno attuazione concreta al primo dei punti, nella consapevolezza del tempo limitato per ritrovare la capacità di crescere e di competere più efficacemente nell'arena globale ribadita dal piano Europa 2020 per il nostro continente (e forse ancor di più per il nostro Paese), è necessario ridare al sistema culturale italiano risorse, slancio ed energie per tradurre le sue immense potenzialità in qualità della vita, sviluppo umano ed economico. È con questo spirito che proponiamo qui un'agenda di misure adottabili a breve termine che inizino a tradurre i principi del Manifesto in scelte concrete, che coinvolgono e responsabilizzano tutti gli attori del sistema Paese.

Le elaborazioni condotte dal Sole 24 Ore sulla base dei dati forniti dal recente rapporto Symbola-Unioncamere sull'industria culturale e creativa in Italia evidenziano le difficoltà attuali: a fronte di un peso occupazionale notevole, corrispondente al 5,6% degli occupati, in gran parte concentrati nei settori dell'industria culturale e soprattutto creativa, esiste ancora una modesta capacità di circolazione dei contenuti e delle innovazioni culturali tra i vari settori della macro-filiera.

Il moltiplicatore culturale che dà una prima misura di tali flussi mettendo in rapporto il valore aggiunto prodotto dal settore culturale e da quello creativo, che è oggi in Italia pari circa a 1, mostra ancora una capacità limitata del comparto creativo di creare valore a partire dai contenuti del comparto culturale vero e proprio. Non è un problema di contenuti in sé: i dati sulla produttività dei settori (non industriali) del patrimonio storico-artistico, delle arti visive e dello spettacolo dal vivo sono abbastanza allineati a quelli del settore creativo, mostrando così che la nostra cultura sta imparando a razionalizzare l'uso delle risorse sempre più scarse a disposizione, e la produttività del settore culturale è persino superiore a quella del settore creativo, per quanto il primo sia meno esposto al mercato in termini relativi. Ma le debolezze del sistema diventano palesi quando si considerano gli indici di orientamento all'esportazione, che per il settore creativo sono tre volte e mezzo la media dell'economia italiana mentre per il settore culturale non arrivano a un terzo. In altre parole, la filiera culturale estesa italiana non riesce a produrre abbastanza valore perché soffre, soprattutto nei settori chiave dell'industria culturale, di una bassissima capacità di penetrazione nei mercati internazionali, e ciò finisce per influenzare negativamente la competitività dell'intero sistema produttivo.

Questa situazione si riflette in modo evidente nell'Indice 24, elaborato dal Sole 24 Ore a partire dai database Google-Harvard e Google Trends che ci permettono di misurare quanto il "brand" Italia sia associato a livello globale, rispetto ai principali Paesi concorrenti, ai settori culturali e creativi e ai relativi attributi di valore. I dati mostrano come, su scala secolare, l'Italia abbia perso quote significative di capacità di influenza in tutti i principali settori della produzione culturale, mantenendo in qualche modo le posizioni nei settori simbolo della sfera creativa come il design e la moda e mostrando un unico vero caso di influenza crescente nel settore del food, che non a caso è quello in cui a un lavoro efficace in termini di ricerca e innovazione si è accompagnata una azione sistematica di miglioramento della partecipazione e delle competenze a livello del grande pubblico. Ma in settori non industriali chiave come l'arte e il patrimonio storico-monumentale, l'incidenza dell'Italia si è ridotta rispettivamente a un sesto e a meno di un terzo dei valori di inizio Novecento.

L'Italia continua così a dilapidare una rendita storica, diventando sempre meno capace di rendere visibili e attraenti a livello globale i propri contenuti culturali, e di trasmetterli efficacemente alle catene del valore dei settori di eccellenza del made in Italy. Per reagire a questa situazione, occorre elaborare una nuova strategia che punti a favorire l'investimento privato e l'imprenditorialità culturale, facendo un uso estremamente accorto ed efficace delle limitate risorse pubbliche disponibili per un forte rilancio competitivo dei nostri settori culturali e creativi.

Ecco alcune priorità concrete da perseguire:

1. Accesso al credito e sviluppo dell'imprenditorialità
Il ricambio generazionale dell'imprenditoria italiana nei settori culturali e creativi è oggi molto modesto. Una delle principali difficoltà è rappresentata dall'accesso al credito, tradizionalmente limitato nel settore a fronte di tassi di default inferiori alla media: si tratta quindi di un deficit di informazione e di conoscenza da parte del sistema creditizio. A questo problema rimedierà presto il programma Creative Europe, lanciato dalla Commissione Europea per il nuovo ciclo 2014-2020, che istituirà un fondo di garanzia a cui le banche potranno accedere per ridurre il rischio di credito verso le imprese culturali e creative, in cambio di condizioni di credito agevolate e di allocazione di quantità significative di impieghi verso il settore. Una novità importante, che il sistema creditizio italiano potrebbe anticipare e cavalcare. Strettamente connesso è il tema dell'incubazione di impresa creativa già dagli ultimi anni della carriera universitaria, un altro tema che potrebbe trovare grandi spazi analogamente a quanto comincia ad accadere nella sfera scientifico-tecnologica, e che è strettamente connesso al primo.

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