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Questo articolo è stato pubblicato il 17 novembre 2012 alle ore 11:12.

L'importante è che il pubblico possa accogliere la spiegazione come qualcosa di sconcertante. Motori dell'azione sono sempre agenti invisibili con poteri straordinari. Esempi: avete notato il modo in cui sono cadute le torri gemelle? E i punti in cui sono collocate le piramidi di Giza? Tutte quelle geometrie vi sembrano casuali? Arriveranno le critiche. Niente paura. Per fermare gli scettici c'è sempre la Carta del Mistero. Come hanno fatto gli alieni a costruire le piramidi? «Ci sono più cose tra cielo e terra...». Se le obiezioni continuano, si inventano problemi che avrebbero le spiegazioni ortodosse, si sparano raffiche a salve. Dov'erano gli ebrei durante l'11 settembre? Quegli strani elmetti indossati nei dipinti rupestri, non sembrano caschi spaziali? E l'Antico Testamento, non coincide con la descrizione di un atterraggio di un'astronave? Si obietterà: così si fa di tutta l'erba una stronzata. Finora non abbiamo neanche dato una definizione seria del termine. Giusto, procediamo. Il dominio delle stronzate è molto più esteso del campo del discorso (pseudo)scientifico. Quando parliamo di stronzate non possiamo non considerare la loro pervasività, la loro onnipresenza nel linguaggio in generale.
Per una definizione è imprescindibile un classico per gli studiosi del settore: il saggio del filosofo morale Harry G. Frankfurt, On Bullshit, pubblicato nel 1986 e ristampato in un volumetto a sé nel 2005 (Rizzoli). Incipit indiscutibile: «Uno dei tratti salienti della nostra cultura è la quantità di stronzate in circolazione. Tutti lo sanno. Ciascuno di noi dà il proprio contributo». Il filosofo arriva a definire «l'essenza della stronzata» alla fine della sua ricerca: «L'assenza di un legame con un interesse per la verità […] l'indifferenza per come stanno davvero le cose». L'artista della stronzata è oltre il mentitore. Non nega la verità, se ne infischia. Il saggio di Frankfurt ha fatto da apripista alla trattazione rigorosa del problema. La critica più dettagliata è arrivata da Gerald A. Cohen, eminente filosofo della politica scomparso lo scorso anno. La si trova nell'articolo Complete Bullshit (in Finding Oneself in the Other, Princeton University Press, uscito il mese scorso).
Per Cohen la prospettiva di Frankfurt è fuorviante: «Da criticare è il prodotto, che è visibile, e non il processo di produzione, che non lo è». Non dobbiamo quindi interessarci al perché vengano create le stronzate, ma piuttosto a come sono fatte. Soprattutto quelle accademiche, le più pericolose. Se le esaminiamo non potremo non concordare, secondo Gerald A. Cohen, su una caratteristica: le stronzate si presentano come oscure e non sono chiarificabili in alcun modo. Che cosa vuol dire? Un testo è irrimediabilmente oscuro se «aggiungendo o sottraendo un segno di negazione a un testo la sua plausibilità rimane la stessa». Cohen ha un'idea precisa di quali esempi si possano fare: «La cultura filosofica che, dalla seconda guerra mondiale in poi, ha prodotto la più grossa quantità di stronzate, sia rispetto al volume sia rispetto al calore con cui queste sono state accolte, è senza dubbio la cultura filosofica francofona».
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