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Questo articolo è stato pubblicato il 19 novembre 2012 alle ore 12:21.

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Sul lungo periodo, l'antifragile trae beneficio dagli errori di previsione. Se seguite l'idea fino alle sue logiche conseguenze, capite che il mondo d'oggi dovrebbe essere dominato dalle cose che traggono vantaggio dalla casualità e non dalle cose che ne sono invece danneggiate, e che quindi dovrebbero essere scomparse. Ebbene, è proprio così. Viviamo nell'illusione che il mondo funzioni grazie a un piano programmato, dalla ricerca universitaria o dai fondi della burocrazia, ma esistono prove convincenti a dimostrazione del fatto che si tratta di un'illusione, l'illusione che definisco «insegnare a volare agli uccelli». La tecnologia è l'esito dell'antifragilità, sfruttata da chi è disposto ad assumersi un rischio trafficando, armeggiando, ritoccando e imparando dagli errori, mentre la progettazione a tavolino rimane in secondo piano. Sarà necessario ridefinire le interpretazioni storiche della crescita, dell'innovazione e di molte di queste cose.

SULLA MISURABILITÀ
Ho affermato che possiamo stimare, persino misurare, la fragilità e l'antifragilità, mentre non possiamo calcolare i rischi e le probabilità di shock ed eventi rari. La gestione del rischio, così come è attualmente praticata, consiste nello studio di un evento che avrà luogo nel futuro: solo alcuni economisti e altri pazzi possono vantarsi – contro ogni esperienza – di saper «misurare» l'incidenza futura di questi rari eventi, mentre i gonzi li stanno a sentire, a dispetto di quel che ci insegnano l'esperienza e i precedenti su pretese di tal fatta. Fragilità e antifragilità fanno parte delle proprietà correnti di un determinato oggetto, come un tavolino da caffè, un'impresa, un comparto produttivo, un Paese, un sistema politico. Possiamo rilevare la fragilità, vederla, in molti casi misurarla, o quanto meno misurare comparativamente la fragilità con un ridotto margine d'errore, mentre il raffronto tra rischi si è dimostrato finora inaffidabile. Non è possibile affermare in modo attendibile che un qualsiasi evento o shock lontano da noi sia più probabile di un altro, ma si può affermare con un grado di sicurezza maggiore che un oggetto o una struttura, qualora dovesse verificarsi un determinato evento, risulterebbe più o meno fragile di un altro. Si può facilmente affermare che nostra nonna è più fragile di noi in caso di un repentino cambiamento di temperatura, che un qualsiasi dittatore, se dovesse prodursi un cambiamento politico, sarebbe più fragile della Svizzera, che in caso di crisi una banca sarebbe più fragile di un'altra o ancora che, in caso di terremoto, un edificio moderno costruito alla bell'e meglio sarebbe più fragile della cattedrale di Chartres. Inoltre, si potrebbe azzardare una previsione su quale dei due è destinato a durare di più.

Piuttosto che una disamina del rischio sostengo il ricorso al concetto di fragilità, che è non-predittivo e, a differenza del rischio, comporta un termine interessante che può descrivere il suo opposto funzionale: il concetto di antifragilità. Per misurare l'antifragilità esiste una ricetta paragonabile alla pietra filosofale, una ricetta che si avvale di una regola compatta e semplificata che ci permette di individuare l'antifragilità nei domini più diversi, dalla salute alla costruzione delle società.
L'umanità ha inconsciamente sfruttato l'antifragilità – nella vita concreta – e l'abbiamo consapevolmente rifiutata – nella vita intellettuale.
La nostra idea consiste nell'astenersi dall'interferire con le cose che non capiamo. È vero che alcune persone tendono a fare l'opposto. Il fragilista appartiene a quella categoria di persone che indossa solitamente giacca e cravatta, spesso il venerdì, che ascolta le vostre battute con gelida solennità, che sviluppa problemi alla schiena a forza di stare seduta a una scrivania, viaggiare in aereo e leggere quotidiani. Il fragilista è sovente impegnato in uno strano rituale, una cosa detta «riunione». Ora, in aggiunta a questi tratti, il fragilista pensa istintivamente che quello che non vede non c'è, o che quello che non capisce non esiste. Il fragilista tende a confondere l'ignoto con l'inesistente.

Il fragilista è facile vittima dell'illusione sovietico-harvardiana, la sopravvalutazione dell'applicabilità delle conoscenze scientifiche. A causa di questa illusione, egli è un razionalista ingenuo, un razionalizzatore o talvolta semplicemente un razionalista: è convinto che le ragioni che stanno dietro alle cose gli siano automaticamente accessibili. Non confondiamo la razionalizzazione con la razionalità: si tratta di due concetti quasi diametralmente opposti. Al di fuori della fisica, e in generale nei domini complessi, le ragioni che stanno dietro alle cose hanno la tendenza a essere meno ovvie ai nostri occhi e ancor meno ovvie agli occhi di un fragilista. Il fatto che le cose naturali tendano a non mettersi in bella evidenza in una sorta di manuale d'uso, ahimé, non è un ostacolo: alcuni fragilisti non esiteranno a unire gli sforzi per scrivere un manuale d'uso, grazie alla loro definizione di «scienza». È così che, grazie al fragilista, la cultura moderna ha gradualmente eretto un muro di cecità attorno al ruolo che nella vita ha il misterioso, l'impenetrabile, quello che Nietzsche definiva il dionisiaco. Ovvero, per tradurre Nietzsche nel gergo, meno poetico, ma non meno acuto, di Brooklyn, si tratta di quello che il nostro personaggio Fat Tony chiama «'na fregatura». In sintesi il fragilista (il pianificatore sociale, economico, medico) è chiunque vi spinga a impegnarvi in imprese o in azioni, tutte artificiali, in cui i vantaggi sono pochi e visibili, mentre gli effetti collaterali sono potenzialmente gravi e invisibili.

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