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Questo articolo è stato pubblicato il 25 novembre 2012 alle ore 08:14.

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Pochi sanno che l'ultimo libro a essere messo all'Indice – prima della sua abolizione voluta da Paolo VI – fu una Vie de Jésus (1959) di un noto biblista francese, Jean Steinmann e la motivazione riguardava il capitolo dedicato ai cosiddetti «Vangeli dell'infanzia», interpretati sostanzialmente come parabole teologiche senza agganci storici verificabili. Si tratta di 180 versetti distribuiti in quattro capitoli, due posti in apertura al Vangelo di Matteo e due sulla soglia di quello di Luca. Pagine che hanno generato un ininterrotto filo d'oro artistico, letterario, musicale e che sono state assediate da una vera e propria selva bibliografica esegetica. Racconti che si muovono sul binario della narrazione, dotata di uno straordinario montaggio quasi filmico, e su quello della teologia, tant'è vero che sottese a esse incontriamo due nuclei capitali della professione di fede cristiana: da un lato, la discendenza storica davidica e, quindi, messianica di Gesù di Nazaret e, d'altro lato, la sua concezione verginale per opera dello Spirito Santo e, di conseguenza, la divinità filiale dello stesso Cristo.
A questi «Vangeli dell'infanzia» Joseph Ratzinger-Benedetto XVI ha dedicato la terza e ultima tavola del suo trittico su Gesù di Nazaret. Nella premessa egli ci propone una metafora descrittiva per definire questa sua analisi dell'infanzia di Gesù: siamo come nella «sala d'ingresso» di quella solenne architettura già perlustrata nei due volumi precedenti che mettevano in scena la vita pubblica di Cristo e la sua morte con l'approdo alla gloria della risurrezione. Benedetto XVI apre il suo libro con la tecnica quasi cinematografica dell'anticipazione: nella «sala d'ingresso» fa risuonare una domanda che echeggerà più oltre sotto le volte del pretorio romano di Gerusalemme, quando il governatore Pilato interpellerà l'imputato Gesù: «Di dove sei tu?» (Giovanni 19,9). Questa domanda dal sapore meramente anagrafico si riveste per il quarto Vangelo di un ammiccamento trascendente ulteriore. Ebbene, l'interrogativo ha la sua risposta proprio in questi 180 versetti che ora il Papa perlustra in un itinerario quasi narrativo nelle loro tappe principali: l'annunciazione e la nascita sia di Giovanni Battista, il Precursore, sia di Gesù, e la scena dei Magi con la successiva fuga in Egitto e ritorno in Galilea.
Noi ora vorremmo soltanto individuare alcuni fili interpretativi che Benedetto XVI dipana all'interno della sua lettura di quei testi. Il primo e fondamentale è quello che fa ruotare in interazione storia e fede, sulla base anche dell'asserto centrale del cristianesimo: il Logos eterno e infinito che è Cristo Dio diviene anche sarx, «carne», contingenza, temporalità, finitudine, mortalità, umanità. Eccoci, quindi, di fronte alla domanda di base: «Si tratta veramente di storia avvenuta, o è soltanto una meditazione teologica espressa in forma di storia?». Ogni quadro dell'infanzia di Gesù è sottoposto, perciò, dal Papa a un'essenziale verifica di storicità, anche perché molti esegeti hanno optato, non di rado, per una chiave «midrashica» per cui saremmo in presenza di una sorta di narrazione parabolica (l'ebraico midrash) attorno a temi, tesi, testi biblici e cristiani, ossia una specie di drammatizzazione narrativa di verità teologiche.
L'interpretazione di Benedetto XVI è diversa: si tratta di «avvenimenti storici il cui significato è stato teologicamente interpretato dalla comunità cristiana e dai Vangeli». E ancora: «Gesù non è nato e comparso in pubblico nell'imprecisato "una volta" del mito. Egli appartiene a un tempo esattamente databile e a un ambiente geografico esattamente indicato: l'universale e il concreto si toccano a vicenda». Non per nulla nei testi abbondano i rimandi alle coordinate geopolitiche, destinate a far esercitare l'acribia dell'esegesi storico-critica, da Betlemme a Nazaret, da Augusto a Erode, dal tempio di Gerusalemme col suo culto al censimento imperiale di Quirinio. E a sostegno di questa storicità egli propone la suggestiva classificazione dei racconti sotto il genere delle «tradizioni familiari», vero e proprio «fondamento giudaico-cristiano proveniente dalla tradizione della famiglia di Gesù».
Nell'antico Vicino Oriente questi memoriali storici clanico-familiari avevano un rilievo tale da essere considerati simili a patrimoni, custoditi con fedeltà nelle pagine vive della fertile memoria semitica. C'è, però, di più: in questi eventi storici strutturali si incrocia anche il trascendente e questo contatto fa scattare scintille a livello di interpretazione. In una pagina molto potente il Papa rimanda al grande teologo protestante Karl Barth il quale definiva nettamente i due punti in cui Dio interviene nel mondo materiale: la nascita di Gesù dalla Vergine e la sua risurrezione dal sepolcro. E commenta: «Questi due punti sono uno scandalo per lo spirito moderno. A Dio viene concesso di operare sulle idee e sui pensieri, nella sfera spirituale, ma non nella materia... Ma se Dio non ha anche potere sulla materia, allora egli non è Dio». Come è chiaro, divino e storico s'incontrano in un unico crocevia e, quindi, queste pagine esigono un'interpretazione congiunta tra teologia e storia.
C'è un secondo filo interpretativo adottato da Ratzinger ed è quello del nesso tra storia e profezia: è noto, infatti, che Matteo costruisce il suo edificio narrativo dell'infanzia di Gesù su una sequenza di citazioni bibliche. Si crea, così, un contrappunto tra profezia ed evento. Ratzinger usa una suggestiva formula: chiama gli annunci profetici «parole in attesa» di ricevere la loro decifrazione piena, il loro "protagonista". Quelle parole in sé germinali, sbocciano in Cristo, come nel celebre caso dell'oracolo di Isaia (7,14) sulla "giovane"/"vergine" che genera l'Emmanuele. Perciò, «nella storia di Gesù, le parole antiche diventano realtà... e la storia di Gesù proviene dalla Parola di Dio, sostenuta e tessuta da essa».

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