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Questo articolo è stato pubblicato il 22 dicembre 2012 alle ore 15:08.

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Se avete bisogno di un ippogrifo, una specie di cavallo alato, sappiate che si possono trovare, ma che sono piuttosto rari. L'Ariosto ce ne informa con molta precisione: l'ippogrifo nasce in natura, specifica, e ce lo descrive accuratamente, dicendoci anche quale è la zona di origine:

«Non è finto il destrier, ma naturale,
ch'una giumenta generò d'un grifo:
simile al padre avea la piuma e l'ale,
li piedi anteriori, il capo e il grifo;
in tutte l'altre membra parea quale
era la madre, e chiamasi ippogrifo;
che nei monti Rifei vengon, ma rari,
molto al di là dagli agghiacciati mari».
(Orlando Furioso, IV,18)

L'Ariosto qui pratica una delle forme di raffinato divertissement che fanno sì che il suo poema generi nel lettore, ogni volta, una forma speciale e sempre nuova di piacere. Le informazioni apparentemente accurate, "scientifiche" che egli ci dà sull'origine degli ippogrifi, vengono ironicamente proiettate in uno spazio fantastico da quel «ma rari» che chiude il penultimo verso dell'ottava, e che sembra schiacciare l'occhio al lettore complice.

L'Ariosto qui mette in scena il modo in cui usa (e prende le distanze da) una ricca tradizione precedente, ma anche in larga parte contemporanea, che ama discettare di animali mostruosi, quelli che popolano il mondo sconosciuto (che stanno «molto al di là»), una tradizione che guarda al mondo animale attraverso i libri, così da fare di ciascun animale il depositario di simboli, allegorie, insegnamenti morali e religiosi.
È esattamente questa tradizione, questo modo di guardare il mondo degli animali, veri e fantastici, che ispira il libro di Michel Pastoureau.

Egli ripercorre la grande stagione dei bestiari medievali, fra l'XI e il XIV secolo, con uno sguardo ravvicinato e simpatetico, e insieme con la ricca conoscenza che gli viene da una lunga stagione di studi.

A questo tema, come egli ricorda, aveva dedicato la sua tesi all'École des Chartes nel 1972, vincendo le resistenze dei suoi professori, che pensavano che gli animali non sono importanti per la Storia (con la s maiuscola, naturalmente) e che quindi non meritavano uno studio. Una vena polemica affiora ancor oggi, qua e là, in un libro che è scritto con l'eleganza, l'esprit de finesse, la felicità narrativa che forse si può permettere solo chi ha alle spalle ricerche approfondite, e la polemica si indirizza in molteplici direzioni: contro il disprezzo positivistico per ciò che non è "scientifico" e razionale nel senso moderno dei termini, ma anche contro lo specialismo di chi oggi studia i bestiari medievali in un'ottica troppo settoriale, e anche contro chi considera il mondo degli animali una presenza secondaria in un mondo che apparterrebbe all'umanità.

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