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Questo articolo è stato pubblicato il 06 gennaio 2013 alle ore 08:22.

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Dai primi del Novecento gli alpinisti più informati sanno che la storia della conquista del Monte Bianco, avvenuta a fine Settecento, è stata pesantemente travisata. Ben pochi però si rendono conto che il danno compiuto è lungi dall'essere riparato, ancora oggi, dopo un secolo dalla riscoperta della verità. E ciò accade soprattutto in Francia, dove si trova Chamonix. Qui gli stessi alpinisti più informati continuano a confondere tranquillamente la storia vera con pezzi della leggenda tramandata come una gloriosa epopea nazionale. Il nocciolo della leggenda è cristallizzato dal 1887 nel famoso monumento sulla piazza centrale in riva all'Arve, con la guida Jacques Balmat che addita la vetta scintillante di ghiaccio allo scienziato ginevrino de Saussure. Non è bastato erigere nel bicentenario del 1986 un monumento gemello al vero artefice della prima salita, il dottor Michel Gabriel Paccard. I turisti che scattano foto non hanno idea del significato dei due bronzi di Chamonix, né immaginano gli intricati retroscena.
Il danno della storia travisata è grosso perché la prima ascensione del Monte Bianco non fu solo un episodio di rilievo datato 1786, ma fu anche l'evento fondatore grazie a cui Chamonix, a forza di ripetizioni di quella scalata esemplare e ambitissima, è stata la fucina dell'alpinismo, del quale non a torto oggi si considera la capitale mondiale. Una gloria di cui i francesi vanno anche troppo fieri, dimenticando riguardo alla fucina che Chamonix è diventata Francia solo nel 1860. Fino ad allora anche quel versante del Monte Bianco era territorio del Regno di Sardegna, governato dalla corte di Torino.
Ecco perché va salutata come una bella novità controcorrente lo splendido volume Mont-Blanc, premières ascensions (1770-1904) appena uscito a Parigi, a cura di Jacques Perret e Michel Jullien. Un libro che coglie tutti di sorpresa raccontando la vera storia con un testo mai visto. Il retro della sovracoperta sottolinea che sulla decina di resoconti di primi salitori di famose vette del massiccio – Drus, Grepon, Charmoz, Aiguille du Midi, Jorasses, Tacul, Argentière con l'antefatto del Buet (1770) – svetta quello fondamentale della cima massima. «Dopo il miscuglio di duecento anni di polemiche e di relazioni parziali, questa antologia offre il racconto più esatto che possa esserci della prima ascensione del Monte Bianco, inedito in francese, compiuta da Michel Paccard e Jacques Balmat».
Fino a oggi il racconto canonico della conquista del Monte Bianco è sempre stato quello di de Saussure, che in realtà calcò la vetta un anno dopo i primi salitori: lo ha ripubblicato pochi mesi fa anche Vivalda nel volume La scoperta del Monte Bianco, (si veda Il Sole 24 Ore Domenica del 6 maggio 2012) ma con una lunga postfazione del vostro cronista di montagna in cui si dimostra che lo scienziato usurpò per gelosia meriti e primato del dottore, sfruttando le calunnie e la venalità della guida Balmat, e si spiega finalmente perché il dottore defraudato alla fine preferì il silenzio. Ma sull'impresa del 1786 il racconto di gran lunga più popolare è stato l'intervista a Jacques Balmat settantenne, realizzata a Chamonix nel 1832 da Alexandre Dumas, il futuro romanziere. L'Ottocento ha creduto ciecamente alla fanfaronata, qui confinata in appendice, in cui la vecchia guida si vanta di aver scoperto la via buona e di aver trascinato in vetta, praticamente di peso, il dottore incapace e pauroso. Il guaio è che questa «leggenda di Balmat», già cantato come titanico eroe da un'ode del giovane Victor Hugo, venne presa per buona dall'ambizioso saggio storico di Charles Durier Le Mont-Blanc, «couronné par l'Académie». Ecco perché il suddito sardo Balmat in Francia è spacciato come un eroe nazionale.
Cosicché è un bel colpo di scena trovarsi al centro dello smagliante volume di Perret e Jullien il racconto del dottor Paccard ritenuto perduto, ricavato «da una ricostruzione dei suoi appunti». Una riscoperta di ipsissima verba del dottore sembra clamorosa. Artefice del coup de théâtre è Jacques Perret, autore del repertorio dei libri di montagna più consultato dai bibliofili. In realtà il testo riscoperto è uno pseudo-Paccard, ingegnoso montaggio realizzato nel 1929 dall'inglese Ernest Hamilton Stevens sulla base del taccuino del dottore, scovato dagli eredi a fine Ottocento, con altri documenti originali. La salita vera e propria dell'8 agosto 1786, pressoché ignorata sul taccuino, è rievocata grazie alla confessione giurata di Balmat in cui il compagno ritrattò le calunnie riconoscendo ogni merito al dottore, e grazie alla prima intervista ottenuta da Saussure in casa Paccard dieci giorni dopo il successo di quel «diable de docteur». Non le frotte di guide pagate, ma un altro scienziato come lui, membro dell'Accademia delle Scienze di Torino, gli aveva soffiato a sorpresa la vetta agognata da tanti anni gettandolo nella costernazione. Il «tentativo di ricostruzione» di Stevens uscì nel 1929 sull'«Alpine Journal» e poco dopo anche in Francia – strano che a Perret sia sfuggito – tradotto da Claire Éliane Engel, nota per la Storia dell'alpinismo.
Stevens volle completare la recente riabilitazione di Paccard restituendogli con l'onore anche il resoconto che il dottore aveva annunciato stampando un volantino di sottoscrizione ritrovato a fine Ottocento: Premier voyage à la cime de la plus haute montagne de l'ancien continent, le Mont Blanc, par le docteur Michel Gabriel Paccard, médecin dans les Alpes de Chamonix. Le 8 Aout 1786.

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