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Questo articolo è stato pubblicato il 07 gennaio 2013 alle ore 12:04.

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Rita Levi MontalciniRita Levi Montalcini

«Più avanzo negli anni e più sottovaluto le qualità che portano al successo e alla supremazia. Le mie simpatie vanno a quelli dotati di una profonda e acuta sensibilità, a quelli che sanno dimenticarsi completamente nella contemplazione dell'universo e/o dedizione agli altri e a quelli non "senza incrinature", ma che fanno errori e sono vulnerabili». Rita Levi Montalcini non praticava questi valori, ma nondimeno li suggeriva al nipote Emanuele in una lettera del 6 giugno 1963.

Questa come altre lettere ai familiari raccolte nel Cantico di una vita (Raffaello Cortina Editore, Milano 2000) sono da leggere, perché disegnano, al di là del culto della personalità e della vecchiaia di cui la scienziata è stata oggetto in Italia, il complesso profilo di una delle figure più importanti della ricerca neuroscientifica della seconda metà del Novecento. Sempre al nipote, alla ricerca di modelli umani di perfezione e grandezza, la zia suggerisce di guardare a figure come Albert Schweitzer. Altre lettere testimoniano di una volontà e ambizione eccezionali nel perseguire gli obiettivi del successo scientifico, e nel creare le condizioni pratiche per conseguirli.

Rita Levi Montalcini nasceva, insieme alla gemella Paola, a Torino il 22 aprile 1909. Da un padre ingegnere elettrico e appassionato matematico, e da una madre pittrice - attività intrapresa con eccellenti risultati anche da Paola. Studiò medicina e, insieme a Salvator Luria e Renato Dulbecco, si formò con Giuseppe Levi, che, pur essendo stato più spesso ricordato in quanto padre di Natalia Ginsburg, era istologo di fama internazionale. Levi istruì i tre futuri Nobel italiani a pensare creativamente, ma con metodo, nella ricerca biologica sperimentale. Conseguita la laurea nel 1936, doveva rinunciare, a causa delle leggi razziali del 1938, a svolgere qualsiasi attività accademica. Nel 1940 allestiva in casa, prima a Torino e poi in campagna, un piccolo laboratorio in cui, insieme a Giuseppe Levi, iniziava a condurre ricerche sull'embrione di pollo e scoprendo alcuni fatti importanti circa gli effetti della manipolazione sperimentale sullo sviluppo del sistema nervoso. Sfollata a Firenze, visse in clandestinità fino alla Liberazione, collaborando come medico con l'esercito alleato.

Dopo la Liberazione riprese l'attività di ricerca e nel 1947 accettava l'invito dello zoologo ed embriologo sperimentale Viktor Hamburger, che alla Washington University di St. Louis nel Missouri stava studiando lo sviluppo dei neuroni nell'embrione di pollo. Hamburger aveva letto i risultati degli esperimenti dei primi anni Quaranta e trovò una borsa della Rockefeller Foundation per portare Rita a St. Louis. Partita con l'idea di rimanere al massimo un anno, viste le eccellenti qualità alla Washington University se la tennero cara, assumendola e poi nominandola professore associato nel 1957 e Full Professor dal 1958 fino al 1977.

È singolare che nei ricordi di questi giorni quasi nessuno abbia detto che il successo scientifico e accademico ottenuti da Rita Levi Montalcini negli Stati Uniti è una delle innumerevoli testimonianze del fallimento culturale e politico dell'Italia. Che appunto non ha investito in lei - come in Luria, Dulbecco e tanti altri, quando erano scienziati creativi - accogliendola e celebrandola solo quando la sua carriera scientifica era di fatto al capolinea. Nel 1962 Rita Levi Montalcini cominciava a creare un'unità di ricerca a Roma, e dal 1969 al 1978 ha diretto l'Istituto di Biologia Cellulare del CNR. Nel 2001 ha concepito in Italia un istituto per lo studio del cervello, nato con il nome di European Brain Research Institute nel 2005.
Nel 1986 veniva insignita del Nobel, insieme a Stanley Cohen, per la scoperta e l'identificazione dei fattori di crescita. La prova che la crescita delle cellule nervose fosse guidata da fattori biochimici fu evidente sin dai primi esperimenti effettuati nel 1948 da Hamburger e Rita, che da subito formarono una coppia con capacità uniche nel campo della neurobiologia dello sviluppo: formidabile sperimentatore lui ed eccezionale neuroistologa lei. Dagli anni Venti e Trenta prevaleva tra i neuroembriologi l'ipotesi che le connessioni nervose si formassero in modo indiscriminato e casualmente, e che l'esperienza rinforzasse le sinapsi e i collegamenti funzionalmente adattativi. Questa idea del ruolo creativo della funzione fu sfidata da Paul Weiss, per il quale la maturazione della connettività neurale precedeva e condizionava l'attività funzionale e il comportamento. La ricerca dei fattori di crescita apriva la strada alla comprensione dei principi fisiologici e delle basi biochimiche di comunicazione tra le cellule nel corso dello sviluppo, e quindi alla spiegazione dei complessi meccanismi di controllo del differenziamento e della morforgenesi del sistema nervoso.

Nel 1952 Rita, diventata più autonoma anche sul piano sperimentale, dimostrava la potente crescita del sistema nervoso del l'embrione di pollo, in particolare dei neuroni sensoriali e del simpatico, determinata dall'impianto di tumori del topo non richiedeva il contatto diretto tra tumore ed embrione. Quindi il primo doveva rilasciare un fattore (che fu chiamato nerve growth factor o NGF) che esercitava un'azione selettiva su certi tipi di nervi. La nostra sviluppò un sistema sperimentale per quantificare l'attività di NGF, assumendo come unità biologica di NGF la minima quantità di estratto in grado di causare un alone di crescita della fibra nervosa, e che una cellula nervosa sensoriale o del simpatico reagisse entro 30 secondi all'aggiunta di quantità quasi infinitesimali di NGF. Il sistema sperimentale concepito dalla Levi Montalcini spianava la strada all'identificazione della sostanza bioattiva.

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