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Questo articolo è stato pubblicato il 13 gennaio 2013 alle ore 08:17.

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Quella storia meravigliosa, riconoscibile ma porosa e sempre arricchita di nuovi dettagli e vicissitudini, come una favola sempre aperta, era arrivata nel regno caucasico per il tramite complesso e affascinante della mediazione islamico-ismailitica e persiana, che alla figura del bodhisattva indiano, che diventa appunto il Ioasaf cristiano – e che appare come una sorta di santo islamico, e in alcune varianti con i tratti di un vero e proprio Gesù indiano – aggiungeva la figura del maestro eremita, Bilawahr, il nostro Barlaam.
Dopo l'edizione critica del testo a opera di Robert Volk, del 2009, la storia di Barlaam e Ioasaf è ora disponibile e ritradotta in italiano grazie al bel lavoro di Paolo Cesaretti e Silvia Ronchey, che non solo aggiornano sul nuovo testo critico la loro classica traduzione, ma la corredano di un commento a piè di pagina, di una ricchissima introduzione, Il Buddha bizantino, di Ronchey, e di una dotta postfazione, Note sulla fiaba di Barlaam e Ioasaf, di entrambi i curatori.
L'introduzione ha tra i tanti pregi anche quello di restituire la complessità delle mediazioni culturali e religiose che hanno accompagnato la leggenda della vita del bodhisattva indiano fin dentro la koiné bizantina, che a sua volta viene illuminata nei suoi caratteri di fusione di tradizioni, di circolazione di arti, di merci, di etnie, cioè nel disegno di assimilazione culturale e sociale che rappresenta la grande strategia millenaria di Bisanzio.
E se il passaggio multiplo e vertiginoso dall'India alla koiné è iranico-islamico-georgiano, Ronchey mostra anche come dal testo greco l'agiografia si irraggi a un'infinità di altre lingue e tradizioni, lo slavo ecclesiastico, che diventa il tramite per il russo e il serbo, e naturalmente il latino, ma anche l'occitano, il francese, il tedesco medievale, l'inglese, lo spagnolo, ma ancora l'arabo, l'etiopico, l'ebraico, il siriaco, fornendo materia per ulteriori elaborazioni ed esperienze letterarie e spirituali e filtrando fino dentro la letteratura moderna e contemporanea. È un mondo aperto, quello che la storia della diffusione di questa leggenda ci riconsegna. Ed è il modello di risveglio, rinascita, conversione, che la vita del Buddha riesce a raccontare con una incredibile capacità osmotica, come un percorso tra culture che a ogni passaggio si impossessa di elementi nuovi per renderli comuni, ma interpretabili diversamente a seconda del luogo di accoglienza.
Se l'Occidente si appropria allora, per il tramite di Bisanzio e senza saperlo, della vita di Buddha, lo fa addirittura nelle forme canoniche della santità. Ioasaf/Buddha è incluso nel catalogo dei santi nel Cristianesimo georgiano già dal 1044 e successivamente riconosciuto, insieme a Barlaam, questo Siddharta dalle fattezze eremitiche, in tutto il mondo greco-ortodosso. E la Chiesa cattolica li inserisce entrambi nel martirologio nel 1583, in piena Controriforma, al giorno 27 novembre.
Quando Marco Polo, alla fine del XIII secolo, viene a contatto nel suo viaggio in Oriente con il buddhismo non può fare a meno di dire che se Buddha fosse stato cristiano «sarebbe stato un grande santo». Quello che non sa è che Buddha è già cristiano, anzi bizantino, e che presto sarà anche un santo cattolico.
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Storia di Barlaam e Ioasaf. La Vita bizantina del Buddha, a cura di Paolo Cesaretti e Silvia Ronchey, Einaudi, Torino, pagg. 314, € 35,00

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