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Questo articolo è stato pubblicato il 20 gennaio 2013 alle ore 13:58.

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A Istanbul la prigione di Sultanahmet non era stata ancora trasformata in un lussuoso Four Season quando un giorno ci passai davanti con Yashar Kemal: «Venni rinchiuso qui per un anno – ricordò l'autore della saga di Memed il falco –- e prima di me ci finirono il mio grande amico Nazim Hikmet e a tanti altri scrittori».
I poemi di Hikmet in Occidente cullavano amori e passioni fiammeggianti. I suoi versi galleggiano ancora come il fantasma benevolo della giovinezza perduta: «Il più bello dei mari / è quello che non navigammo. / Il più bello dei nostri figli / non è ancora cresciuto. / I più belli dei nostri giorni / non li abbiamo ancora vissuti / E quello / che vorrei dirti di più bello / non te l'ho ancora detto».
Ma asciughiamo le lacrime dei ricordi: mentre da noi le poesie del "comunista romantico" finivano di soppiatto nei refrain dei cantautori o nelle confezioni dei Baci Perugina – e assai più tardi riacquistavano la loro magia recitati da Margherita Buy nelle Fate ignoranti di Ozpetek – per i turchi continuavano a restare un frutto proibito.
La censura della repubblica laica fondata da Kemal Ataturk, più ancora di quella ottomana, è stata occhiuta e implacabile. Mise all'indice oltre 20mila volumi e in prigione molti dei loro autori e di quelli che li leggevano: era un'ottima scusa, dopo il colpo di stato dell'80, per togliere dalle piazze studenti ribelli, comunisti e simpatizzanti. Fu persino probito il fumetto italiano Capitan Miki, Tommik in turco, perché secondo i generali, che nel '61 avevano impiccato il premier Menderes, "incitava alla sedizione". Hikmet fu in parte riabilitato quando nel 2002 venne proclamato dall'Onu "l'anno di Nazim". Gli venne restituita post mortem la cittadinanza, cancellata dopo l'esilio in Urss, ma la sua tomba restò in Russia. Alle celebrazioni un ministro disse: «Grande poeta ma se fosse stato per lui saremmo diventati un satellite di Mosca».
Neppure con la fine ingloriosa delle ideologie, mentre nella società si faceva strada il conservatorismo islamico poi salito al potere con il partito Akp di Erdogan, il più importante vate della Turchia perdeva per l'establishment la sua carica minacciosa. Come spiegava assai bene Joyce Lussu, la traduttrice italiana, medaglia d'argento per la resistenza, che fece uscire clandestinamente dalla Turchia la moglie e il figlio di Nazim: «L'esperienza con Hikmet mi convinse che i veri poeti sono quelli che ci rendono un pò più intelligenti non soltanto per osservare la realtà ma per parteciparvi attivamente. Un vero poeta non canta la rivoluzione, fa la rivoluzione cantando. Per rivoluzione non intendo solo l'azione politica: ci sono mille modi di farla, anche nei rapporti quotidiani, contro le incrostazioni del conformismo. Un vero poeta è una forza liberatrice». Alcune delle sue opere restarono vietate, come molte altre: dal Manifesto di Marx ed Engels al Capitale, agli scritti di Lenin. Volumi che si trovavano sugli scaffali ma a rischio di editori e librai, non potevano circolare perché materiale "pericoloso", sanzionato dalle leggi anti-terrorismo. Insieme alla propaganda comunista, gli altri argomenti tabù sono stati e restano il massacro degli armeni e i curdi: soltanto di recente si sta sollevando il velo ma con grandi difficoltà come dimostra il recente assassinio a Parigi di tre donne militanti del Pkk volto a sabotare il negoziato con Abdullah Ocalan, il leader curdo in carcere sull'isola di Imrali.
La censura sui libri è caduta da poche settimane. In luglio il parlamento aveva adottato una legge che stabiliva che tutte le decisioni giudiziarie prese prima del 2012 riguardanti «il divieto alla distribuzione di pubblicazioni stampate» si consideravano decadute se non confermate da un tribunale entro sei mesi. La data è arrivata a scadenza e nessun intervento è stato segnalato. Finalmente liberi?
Fino a un certo punto. Le opere del marchese de Sade, per esempio, sono ancora bollate come "licenziose" e con esse altre come Uomini e Topi di John Steinbeck, ritenuto "diseducativo". Sulla libertà di espressione concessa dal governo islamico moderato del primo ministro Tayyep Erdogan, che aspira per il 2014 alla carica di presidente dopo un'adeguata riforma costituzionale, aleggia un certo scetticismo perché favorisce le tendenze conservatrici e anti-laiche. Il Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj) ha denunciato in dicembre che in Turchia sono in carcere 49 colleghi, per la maggior parte di etnia curda. Erdogan, politico di successo ma dal carattere fumantino, si è scagliato recentemente contro una serie televisiva dedicata a Solimano il Magnifico, colpevole secondo lui di aver dato risalto agli aspetti più indiscreti dell'harem. «Gli autori che irridono i valori popolari devono ricevere una lezione», ha proclamato il premier, soprannominato il Sultano per il suo piglio autoritario.
Ma forse anche Erdogan ha letto Nazim Hikmet. Certamente la poesia, a un certo punto della sua carriera, gli è stata fatale. Fu per la citazione in un discorso di un altro poeta famoso, Ziya Gokalp, che Erdogan finì in carcere. «Le moschee sono le nostre caserme, le cupole i nostri elmetti, i minareti le nostre baionette e i fedeli i nostri soldati»: per questi versi composti negli anni Venti venne condannato nel '97 a 10 mesi di prigione per incitamento all'odio religioso (ne scontò la metà). I poeti lavorano in profondità con esiti imprevedibili.

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