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Questo articolo è stato pubblicato il 27 gennaio 2013 alle ore 15:49.

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«Vi vogliamo bene. Non avete fatto niente di male, che Dio vi benedica». Liliana Segre, sopravvissuta ai campi di sterminio di Auschwitz-Birkenau, ricorda ancora come se fosse ieri, le grida dei detenuti che salutavano la loro partenza dal carcere di San Vittore, dove dal '43 al '45 vennero imprigionati 600 ebrei adulti e 40 bambini. Liliana Segre, unica bambina di quei quaranta tornata dai lager, torna con emozione alla casa circondariale milanese per inaugurare la mostra "Il filo dimenticato: 1943-1945 Gli anni bui di San Vittore", dove sono esposte venti opere di Alice Werblosky, cucite a mano da alcune detenute di San Vittore, in occasione della Giornata della Memoria.

L'esposizione si tratterà nell'istituto di pena fino al 27 gennaio (le informazioni per l'ingresso ilFiloDimenticato) e poi dal 3 al 10 febbraio si trasferirà presso lo Spazio Energolab (Via Plinio 38, Milano).

Le opere, cucite su lenzuola, riportano alcune scene di sopruso e di violenza accadute nel carcere – dove gli ebrei sostavano per poco per poi finire nei campi di sterminio - in quell'oscuro biennio di Storia, ma ricordano anche le figure di Giusti, che alleviarono le pene dei futuri deportati. Vi è così un albero alle cui estremità sono cucite proprio le iniziali E1, E2, E3, come venivano registrati i prigionieri ebrei, e quelle delle detenute che l'hanno cucito - Loredana, Rosa, Cristina - pronte ad aggiungere le iniziali di chiunque lo desideri. Vi sono donne bersaglio, uomini distesi contrassegnati da un rettangolo rosso con una scritta "Crimini contro l'umanità", i carri e i cavalli, i violini impreziositi dalle perline dei Rom. Nessun Rom è stato trattenuto a San Vittore in quegli anni, ma nel gruppo che ha lavorato con grande armonia per quattro mesi su questo progetto, c'erano anche quattro ragazze sinte, accanto a italiane, russe, sudamericane.

Un lenzuolo è stato dedicato anche a Andrea Schivo, la guardia carceraria che dava da mangiare ai bambini ebrei e cercava di far da tramite tra gli internati e i famigliari liberi e Giuseppe Grandi, il giardiniere e uomo di fiducia della famiglia Reinach, che aiutò molti ebrei perseguitati a raggiungere il confine in Svizzera. Entrambi furono denunciati e morirono in campo di concentramento.

Molte e suggestive le testimonianze all'inaugurazione. Oltre a Liliana Segre, che ha parlato anche dell'incredibile sofferenza che hanno provato gli adulti ebrei per la sorte dei loro figli e nipoti, è intervenuta anche Goti Bauer, anch'essa passata per San Vittore e sopravvissuta ai lager. Toccante il racconto della curatrice e la testimonianza di quattro detenute, che hanno realizzato le opere, due delle quali hanno letto una lettera.

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