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Questo articolo è stato pubblicato il 09 febbraio 2013 alle ore 09:34.

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Ci sono città orizzontali e città verticali, e Milano rientra naturalmente tra le ultime. Città sinceramente verticale, tra l'altro, perché nei suoi grattacieli non si fa – non si è mai fatto – solo business. Si vive, soprattutto.

Nella Torre Velasca, anno 1958, 106 metri d'altezza, capolavoro neomedievale dello studio Bbpr, recentemente protagonista di una stupida polemica del Daily Telegraph che l'aveva collocata tra i più brutti grattacieli del mondo – dev'essere l'invidia di Londra per i grattacieli milanesi che ormai sono di più e sono più belli – Alberto Sordi progettava improbabili uxoricidi per sterminare la molto liquida moglie Franca Valeri, che lo appellava «Cretinetti», e mettere a tacere finalmente i creditori tra cui il commendator Lambertoni. «Dove fai colazione? In villa o in grattacielo?», chiedeva Sordi alla moglie, per pianificare il colpo. La moglie imprenditrice e immobiliarista era poi ispirata a un personaggio della roaring Milano, Anna Bonomi Bolchini, che dai grattacieli veniva – il padre Carlo Bonomi le aveva lasciato in eredità cinquemila appartamenti, e lei rispose fondando la Bonomi-Comolli che eresse il Pirellone by Gio Ponti. Adesso Carlo C. Bonomi è una delle figure più in vista del rilancio della città, dopo aver conquistato la Popolare di Milano, aver venduto la Ducati e la Aston Martin; e il Pirellone si è come si dice ritagliato un ruolo di padre nobile dei grattacieli, essendo stato sfrattato per un'altra torre, Palazzo Lombardia, 161 metri, premiato dal Council of Tall Buildings and Urban Habitat (Ctbuh) di Chicago come miglior grattacielo d'Europa per il 2012. Premiati «il design, la sostenibilità e l'innovazione», mancando il tempismo da parte della giunta Formigoni.

Ma la committenza pubblica è solo residuale; nei grattacieli si vive, appunto. «Clic. Nell'appartamento numero 89 all'ottavo piano della Torre Velasca, Mario Pozzo, anni 47, editore del mensile di moda Venus, maggiore azionista di Radio Stella, proprietario della scuderia di cavalli Vercingetorige, abbassa la leva off del suo hi-fi» – siamo in Sotto il vestito niente, bestseller meneghino di grande successo con derive poi cinepanettoniche del 1983 (buon trentennale). Nei grattacieli si odia, anche: nella Vita Agra, il povero Luciano Bianciardi catapultato nel logorio dell'industria culturale sogna di far saltare in aria il «torracchione di vetro e cemento» simbolo del boom, e cioè il palazzone della Montecatini di via della Moscova, opera peraltro abbastanza somma anche qui di Ponti; mentre Bianciardi in persona veniva licenziato dai Feltrinelli per scarso rendimento; e gli editori a loro volta avevano una villa a San Siro forse verticalmente avvantaggiata, il «Miracielo» – e avevan fatto fortuna prima coi legnami e con l'immobiliare che non con i gattopardi e gli Zivago. Carlo Feltrinelli, papà di Giangiacomo, era presidente del Credito Italiano, dunque poi il papà dell'UniCredit protagonista con le sue tre torri nel nuovo centro direzionale di Porta Garibaldi – mentre il nuovo quartier generale Feltrinelli, compreso la Fondazione, di Herzog & De Meuron, sorgerà a Porta Volta, compresa la fondazione Feltrinelli, già braccio politico di Giangiacomo. Già, la politica: anche la protesta a Milano sceglie il grattacielo; al momento di okkupare, non si sono scelti vetusti teatri come il romano Valle, ma la Torre Galfa. E sarà un caso, ma appena scesi di quota, nella orizzontale Brera, si sono perse influenze e benemerenze.

Pur spostandosi di poco: perché a Milano (città verticale, a differenza di Roma ma anche di Parigi) i grattacieli piace averli in centro, non in compound tipo Eur o La Défense. Così tra le nuove edificazioni la più spettacolare è proprio Porta Garibaldi. Dove, magari appena scesi da un treno montezemoliano veloce da Roma, si resta prima abbacinati da questa visione argentea e luminosa – cioè dalla verticalità spettacolare, in fondo mica tanto diversa da quella che si vede uscendo dalla metro in Duomo. Poi però avvicinandosi al gruppo di palazzoni intorno al podio, subito intitolato a Gae Aulenti, sotto le torri argentee UniCredit di César Pelli già erte, e sinuose, strade asfaltate precise e ciclabili sotto siepi di pitosfori già verdissimi, e tram nuovissimi, verdi. Insomma, la modernità, ma una modernità molto umana, perché le torri aprono su una piazzetta – negozi, abitazioni, alberghi – e poi un borghetto disegnato dallo studio Munoz & Albin di Houston, e però in fondo molto milanese e arci-italiano – che accompagna tutta questa modernità giù fino a Corso Como e in Garibaldi. E due palazzine di cortina a shard, ma niente a che vedere con la scheggia inquietante londinese di Renzo Piano, voluta dagli emiri riflessivi del Qatar. Qui invece scheggiotte solide, di sapienza milanese, che sarebbero piaciute all'ingegner Gadda, finiture solide, tubature previdenti, serramenti doppi, balconi e logge ordinate. «Tutte queste agenzie bancarie, tutte questi edifici in vetro, tutte queste facciate a specchi sono il segno di un'architettura del riflesso. Non si vede più quello che accade nelle case degli altri e si ha paura dell'ombra. La città diventa astratta.

Riflette solo se stessa»: era il lamento del fotografo più reazionario del Novecento, Robert Doisneau, che pigola anche adesso, in mostra all'orizzontale Palazzo delle Esposizioni romano, sulla sua Parigi di bouquiniste e baguette a rischio (secondo lui) scomparsa. Invece, qui, bei grattacieli e palazzotti subito abitabili, tutti bio e ecologici – passate le due schegge che immettono su questa nuovissima via Vincenzo Capelli (partigiano) si arriva giù in Corso Como che pare la naturale prosecuzione di questo borghetto, dove appartamenti si guardano in faccia e dietro le facciate si indovinano dinamiche vicinali anche vivaci, forse brulicanti, come nell'Adalgisa gaddiana o nella Vita. Istruzioni per l'uso di Perec o nel Condominio di Stanley Elkin appena riedito da minimum fax. Si immaginano anche giornate tipo: giù per Corso Como, personaggi molto milanesi che scesi da una Torre o da una Scheggia filano velocemente verso la contigua Virgin Active, monumento contemporaneo aperto nel 2009 con dieci milioni di investimento da sir Richard Branson, sulle ceneri di un tempio dello zeitgeist milanese, il club Francesco Conti, inventore tra l'altro del Gag (gambe addome glutei); dove ora prosperose personal trainer ti guidano nei meandri di percorsi benessere e pilates e misteriosi salottini "executive", cioè poi spogliatoi dedicati alla gente che piace, ma – fanno sapere – sono già tutti prenotati e c'è la lista d'attesa, e poi salta fuori un cumenda molto Lambertoni che rivolgendosi alla popputa trainer regala un «by the way, non ti ho chiesto, come stai?».

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