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Questo articolo è stato pubblicato il 09 febbraio 2013 alle ore 09:29.

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George Entwistle si è dimesso il 10 novembre scorso, indebolito da settimane di polemiche per l'insabbiamento di un servizio di Newsnight su Savile, in seguito a un altro approfondimento dello stesso programma legato a supposte violenze su minori in istituti da parte di un politico conservatore, questa volta rivelatesi false. La beneficenza è un'attività a rischio che dovremmo esaminare con attenzione meticolosa. I faccendieri più scafati la usano con una leggerezza che non basterebbe per nessun altro tipo di copertura: anche Jill Kelley, quella dello scalcagnatissimo caso Petraeus, aveva una attività di raccolta di fondi per la ricerca sul cancro. Solo se Milena Gabanelli e Report decidono di indagare su questi temi sappiamo che ne è dei nostri soldi; in caso contrario ci va bene così, ci basta avere dato, non siamo in grado fare domande senza sembrare inopportuni. Ci ho riflettuto recentemente, dopo avere donato due euro con un sms alla Fondazione per la ricerca sulla fibrosi cistica (malattia genetica che ha ucciso un mio amico qualche anno fa e nel 1990 la sorella maggiore di Matteo Marzotto, motivo per cui la famiglia ha costituito la fondazione).

Nel dare quei due euro non volevo solo finanziare la ricerca: volevo che una magia facesse sparire l'eventualità che le persone a cui voglio bene avessero figli affetti da fibrosi cistica. Mi chiedo se con i soldi donati così non compriamo soprattutto il diritto a distogliere lo sguardo da quello che ci fa più paura, senza essere redarguiti da società e coscienza. Eppure proprio questo meccanismo, quello che ci permette di dare con leggerezza sentendoci comunque appagati e buoni, permette a tante campagne benefiche serie di funzionare. Non a caso l'Opera San Francesco per i Poveri lo scorso Natale ha usato lo slogan «Siate egoisti, fate del bene!», accompagnato dalla frase esplicativa «Fare del bene è il miglior modo per sentirsi bene».
La beneficenza invisibile, quella per cui si danno fondi a progetti di cooperazione importanti solo comprando vestiti o libri usati da Oxfam o all'Esercito della Salvezza, identici in tutto a negozi analoghi normali, fatica ad attecchire nel nostro Paese. L'estate scorsa sul Guardian si raccomandava alle modaiole più accorte di andare proprio da Oxfam a comprare i vestiti firmati: i ricchi fanno volentieri beneficenza, e tengono gli armadi aggiornati alle ultime collezioni, svuotandoli dei capi passati di moda. Risulta difficile immaginare che in Italia qualcuno avvicini così serenamente lusso e Darfur.

Il primo Telethon della storia risale all'aprile del 1949: condotto da Milton Berle, durò 16 ore e raccolse 100mila dollari per la ricerca sul cancro. Il più celebre e importante è nato nel 1966 e ha chiuso due anni fa. Jerry Lewis ha condotto la maratona tv del Labor Day (primo lunedì di settembre) per 45 anni, raccogliendo circa 2,5 miliardi di dollari contro la distrofia muscolare. Al Telethon di Lewis si sono esibiti letteralmente tutti, in un mélange di Las Vegas e generosità che è irresistibile come certe moquette arancioni. Lo si guarda oggi a pezzi su YouTube, e lo si apprezza prendendone il meglio. Ma il gran finale classico, con Lewis che canta You'll Never Walk Alone per i suoi bambini distrofici, negli ultimi anni era diventato solo imbarazzante, nemmeno più consapevolmente lacrimoso per una giusta causa. A Natale del 1984 io avevo dieci anni e mio fratello diciotto. Lui aveva comprato il singolo di Do They Know It's Christmas? ed era a posto. Sulla copertina c'era un collage di foto di bambini etiopi denutriti e immaginette edoardiane di coetanei inglesi eleganti.

Gli Wham! annunciarono che anche loro avrebbero devoluto i proventi delle vendite del loro singolo alla lotta contro la carestia africana. Scesi al negozio sotto casa e comprai Last Christmas con i miei soldi. Sulla copertina del 45 giri c'era George Michael vestito da Babbo Natale che teneva dei pacchi in mano, mentre Andrew Ridgeley indossava un costume da renna. Fu chiaro fin da subito che non era la stessa cosa.

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