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Questo articolo è stato pubblicato il 22 febbraio 2013 alle ore 15:00.

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Una scena del film Anna KareninaUna scena del film Anna Karenina

Un weekend che profuma di Oscar: in attesa dell'85ª cerimonia degli Academy Awards, in programma domenica notte al Dolby Theatre di Los Angeles, questa settimana escono nelle nostre sale alcuni titoli in lizza per le prestigiose statuette, seppur non candidati nelle categorie principali.
Quattro le nomination ottenute da «Anna Karenina» (tra cui quella per la miglior colonna sonora firmata dall'italiano Dario Marianelli), ultimo adattamento del celebre romanzo di Lev Tolstoj del 1877, diretto da Joe Wright. Keira Knightley veste i panni della tormentata protagonista: un ruolo che, in passato, venne interpretato da attrici come Greta Garbo (nel 1935 per la regia di Clarence Brown) e Vivien Leigh (nella dimenticata pellicola di Julien Duvivier, datata 1948).

Se a livello narrativo il nuovo film procede in maniera piuttosto classica, il fine del regista è quello di rinnovarne l'aspetto visivo, mescolando ambientazioni teatrali e cinematografiche in un fluire armonioso e quasi surreale.
Esattamente come nelle sue opere precedenti, «Espiazione» del 2007 in primis, Wright propone ottimi spunti creativi, ma gli manca un pizzico di coraggio in più per portare le sue idee fino in fondo: ne risulta così un film altalenante, convincente e brillante nella prima parte e troppo piatto nella seconda. Cast in buona forma, da Keira Knightley a Jude Law (il marito della protagonista) passando per il sempre più sorprendente Aaron Johnson (il conte Vronsky).

Più emozionante e coinvolgente è «The Sessions», pellicola tratta da una storia vera, diretta da Ben Lewin e con protagonista John Hawkes. L'attore interpreta Mark O'Brien, poeta e giornalista colpito dalla poliomielite in tenera età e da allora costretto a vivere collegato a un polmone d'acciaio. Compiuti i trentotto anni, decide di perdere la verginità affidandosi a una professionista del settore.
Ispirato a un articolo dello stesso O'Brien, intitolato «On Seeing a Sex Surrogate», il film si mantiene in buon equilibro tra commedia e melodramma, unendo interessanti riflessioni sulle relazioni umane a battute divertenti, in grado di smorzare i toni di una vicenda così drammatica.

In pochi avrebbero scommesso su Ben Lewin, regista nato in Polonia nel 1946 e rimasto lontano dal cinema dai tempi di «Lucky Break» del 1994, ma anche grazie a una messa in scena ben strutturata e vittima di alcuni cali soltanto verso la conclusione, «The Sessions» è stato uno dei titoli più apprezzati dalla critica americana nel corso del 2012. Una sola nomination agli Oscar, andata a un'ottima Helen Hunt come attrice non protagonista, ma il film ne avrebbe meritata almeno un'altra per il sempre più sorprendente John Hawkes, che si conferma uno degli interpreti più intensi della sua generazione.
Decisamente meno toccante è «Pinocchio», film d'animazione di Enzo d'Alò presentato alla scorsa Mostra di Venezia. Dopo aver adattato Gianni Rodari («La freccia azzurra» del 1996) e Luis Sepúlveda («La gabbianella e il gatto» del 1998), il regista italiano punta a Collodi, rimanendo sostanzialmente fedele al celebre romanzo.

Come per la maggior parte dei lavori di d'Alò, la sensazione è quella di un'opera rivolta quasi unicamente ai più piccoli, incapace di competere con l'animazione adulta di tante produzioni giapponesi e americane. Dal punto di vista tecnico, se il disegno dei fondali riesce a trasmettere tutta la magia delle pagine scritte, i personaggi appaiono invece realizzati frettolosamente e con scarsa fantasia. Da segnalare, in conclusione, che Lucio Dalla, al quale il film è dedicato, è autore della colonna sonora e ha prestato la voce al pescatore verde.
Infine, il titolo di pecora nera del weekend va certamente a «Gangster Squad» di Ruben Fleischer.

Ambientato a Los Angeles nel 1949, il film racconta la formazione di una task force, guidata da diversi agenti speciali, con l'obiettivo di catturare uno dei più pericolosi criminali dell'epoca: Mickey Cohen. Banale nella sceneggiatura e mal orchestrato nei tempi di montaggio, «Gangster Squad» è un prodotto vuoto e incolore, totalmente incapace di omaggiare il cinema noir degli anni '40 come avrebbe voluto.
Ruben Fleischer, sorprendente nel suo esordio «Benvenuti a Zombieland» (2009), perennemente indeciso su quale stile adottare, non riesce a sfruttare i tanti attori importanti a disposizione. Da Sean Penn a Ryan Gosling, passando per Josh Brolin ed Emma Stone, non si salva davvero nessuno.

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