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Questo articolo è stato pubblicato il 28 febbraio 2013 alle ore 22:17.

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Treno a vela, 1977
L'inizio della leggenda di Lucio Dalla si deva all'album «Com'è profondo il mare», il primo in cui il Nostro scrive sia musiche che testi. E che testi: «Treno a vela» ritrae una coppia di clochard - padre e figlio - che vivono d'espedienti. «-Voglio un chilo di pane/ e un fiasco di vino./ Le do in cambio il bambino/ che ho in più./ -Posso darle anche un osso./ -Non mi piace è di cane/ M'è passata la fame». Inizio realista e malinconico, finale tragico. O forse surreale, come fossimo in «Miracolo a Milano». Commovente.

Corso Buenos Aires, 1977
Altra perla proveniente da «Come è profondo il mare», il brano potrebbe essere il seguito ideale di «Treno a vela». Nel bel mezzo di Milano si dà la caccia a un clochard che ha commesso chissà quale reato ed è scappato via con il figlio. Ne senti parlare dal punto di vista (superficiale e razzist) degli avventori: «Dev'essere uno slavo/ che dorme e ruba alla stazione/ con gli occhi senza luce:/ è senz'altro un mascalzone». Lo spigoloso blues che sorregge il testo dà persino un tocco comico alla scena che comica non sarebbe. Colpi che riescono soltanto ai maestri.

Milano, 1979
Ci voleva giusto un bolognese per tracciare quello che probabilmente è il ritratto musicale più lucido e insieme appassionato della capitale economica del Paese: la «Milano» di Dalla è un posto bello e maledetto, dove hai tutto ma sembra che ti manchi qualcosa. «Milano vicino all'Europa/ Milano che banche che cambi/ Milano gambe aperte/ Milano che ride e si diverte». Forse per i milanesi non sarà la migliore canzone che sia mai stata composta sulla loro città ma molti non milanesi che vivono la città sottoscriverebbero i seguenti versi: «Milano, ogni volta che mi tocca di venire/ mi prendi allo stomaco, /mi fai morire./ Milano senza fortuna,/ mi porti con te/ sotto terra o sulla luna».

Balla balla ballerino, 1980
L'album «Dalla» è quello della consacrazione, dopo il successo di pezzi da novanta come «Com'è profondo il mare» e l'omonimo. Si apre con un brano che si spaccia per leggero: «Balla balla ballerino». Vuol essere quasi una boccata d'ossigeno dopo l'overdose di impegno degli anni Settanta. Ma è apparenza: «Balla anche per tutti i violenti/ veloci di mano e coi coltelli, accidenti./ Se capissero vedendoti ballare di essere morti da sempre anche se possono respirare». In profondità c'è una sostanza che non è affatto leggera.

Futura, 1980
Probabilmente l'apice insuperabile del talento compositivo di Dalla, «Futura» ruota intorno all'esperienza più personale che esista: un amplesso per mettere al mondo il proprio avvenire. «E se è una femmina si chiamerà/ Futura». Il bello è che il Lucio nazionale non perde occasioni per infilarci (e dissacrare) qualche considerazione a margine da Guerra fredda: «I russi, i russi/ gli americani». Perché per Dalla personale e politico trovavano fatale coincidenza.

Se io fossi un angelo, 1985
Un brano mistico, ma non troppo. Politico, invece, parecchio: «Se io fossi un angelo (…)/ andrei in Afganistan / e più giù in Sudafrica / a parlare con l'America/ e se non mi abbattono/ anche coi russi parlerei . Angelo se io fossi un angelo/ con lo sguardo biblico li fisserei/ vi do due ore, due ore al massimo/ poi sulla testa vi piscerei». Questo era l'impegno per il Dalla più maturo: accostarsi in punta di piedi ai temi e pungere. Armi con le quali hai ottime probabilità di arrivare più lontano che con i tradizionali comizi cantautorali.

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