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Questo articolo è stato pubblicato il 09 marzo 2013 alle ore 11:39.

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La sera del 27 luglio 1993 ero completamente fumato. Eppure la ricordo come una delle notti più spaventose della mia vita. Avevo diciannove anni ed ero in giro con i soliti amici, nel solito posto, nel paese dove abitavo vicino a Milano. Alle undici e venti l'autoradio iniziò a parlare di un'esplosione al Padiglione di Arte Contemporanea (Pac). L'edificio era stato raso al suolo. Cinque morti. Qualche ora dopo, c'era un tremito nella voce del giornalista in collegamento da Roma mentre, in sottofondo, le esplosioni risuonavano forti di fronte a due chiese della capitale.

Erano passati esattamente due mesi dall'attentato all'Accademia dei Georgofili di Firenze, che aveva ucciso altre cinque persone. Non è facile spiegare come, in una democrazia occidentale, nel 1993, tre bombe potessero esplodere in una notte, piazzate dalla mafia. L'Italia stava attraversando una crisi devastante, e nessuno poteva immaginare che dalle ceneri di quegli ordigni si sarebbe sollevata la fenice di Silvio Berlusconi, l'uomo destinato a governare e a incasinare l'Italia per quasi vent'anni. Eppure, per quanto fossi spaventato e confuso, ebbi la chiara, distinta impressione che il mondo stava cambiando e che, per la prima volta, potevo essere parte di quel cambiamento.

A Venezia, quell'estate, della mia prima visita alla Biennale ricordo il padiglione tedesco di Hans Haacke, quello inglese di Richard Hamilton e la spartana semplicità del padiglione russo di Ilya Kabakov. Ma fu la sezione Aperto, dedicata agli artisti emergenti, che ridisegnò la mappa, portando alla ribalta molte figure che ancora oggi sono sulla scena, come Maurizio Cattelan, John Currin, Dominique Gonzalez-Foerster, Damien Hirst, Carsten Höller, Paul McCarthy, Philippe Parreno, Charles Ray, Pipilotti Rist, Rudolf Stingel, Rirkrit Tiravanija e Sue Williams. Questi artisti erano stati scelti da un gruppo di curatori – Francesco Bonami, Nicolas Bourriaud, Jeffrey Deitch e Bob Nickas, tra gli altri – selezionati da Helena Kontova, giornalista di Flash Art. Anche Oliviero Toscani, le cui campagne per Benetton avevano fornito ai primi anni Novanta l'equivalente visivo di una colonna sonora, esponeva ad Aperto, insieme a Kathe Burkhart, Cheryl Donegan, Maria Eichhorn, Alix Lambert, Sean Landers, Doris Salcedo, Julia Scher e a un ventisettenne Kai Althoff. La Biennale del 1993, sotto la direzione di Achille Bonito Oliva, marcò anche un'espansione geografica radicale, presentando lavori di artisti provenienti da Cina, Ghana, India, Sudafrica, Thailandia e Zaire. Fu lì, all'Arsenale, che provai il senso della fine di un'era e dell'inizio di un'altra. Aperto '93 fu un viaggio intorno al mondo che ci fece assaggiare ciò che, qualche anno dopo, avremmo chiamato globalizzazione. Ogni cosa pareva possibile.

Quell'anno, Yitzhak Rabin e Yasser Arafat si strinsero la mano sul prato della Casa Bianca. Entrò in vigore il Trattato di Maastricht. Io quell'estate guidai attraverso l'Europa dell'Est, fino in Lituania, Estonia e Lettonia. L'ex Unione Sovietica stava cambiando, le repubbliche baltiche riprendevano forma, ma in Bielorussia vidi gente girare scalza. In Sudafrica venne siglata una nuova Costituzione. Nelson Mandela divise il premio Nobel per la Pace con F. W. de Klerk, e Toni Morrison vinse quello per la Letteratura. Bill Clinton diventò presidente degli Stati Uniti. C'era questa cosa chiamata World Wide Web che era appena nata. Venne lanciato il primo blog.

La mostra China Avant-Garde: Counter-Currents in Art and Culture inaugurò alla Haus der Kulturen der Welt di Berlino; Cai Guo-Qiang vinse il Cartier Award; Huang Yong Ping e Chen Zhen iniziarono a fare capolino nelle personali e nelle collettive in giro per l'Europa. Nei sobborghi di Pechino, in una comunità chiamata Dong Cun, un gruppo di artisti e fotografi – tra i quali figuravano Ma Liuming, Rong Rong e Zhang Huan – intraprese una serie di performance ed esperimenti che portò la polizia a evacuare il loro "East Village" nel 1994.

Dall'Inghilterra arrivavano le prime avvisaglie del movimento Yba. Rachel Whiteread conquistò il Turner Prize con House, scultura che venne abbattuta il gennaio successivo, segnalando l'accelerazione nel cambiamento londinese. I film inglesi dell'anno furono Naked di Mike Leigh e Raining Stones di Ken Loach. John Major era ancora al potere; ufficialmente, la recessione si fermò in primavera, ma mesi dopo lasciava ancora un retrogusto amaro nella bocca delle persone. Tracey Emin e Sarah Lucas aprirono The Shop a Bethnal Green. Sulla copertina di Frieze, un giornale che aveva solo pochi anni di vita, Gavin Turk e la statua di cera di Sid Vicious (Pop, 1993) anticiparono l'emergere di una nuova Inghilterra, mentre a Venezia Matthew Slotover – cofondatore e coeditore della rivista insieme ad Amanda Sharp – fece la sua comparsa tra i curatori di Aperto '93, invitando Damien Hirst e le sue creature in formaldeide a impossessarsi della laguna. Quello stesso anno, Jay Jopling aprì White Cube.

Un giovane Gavin Brown curò Real Time all'Institute of Contemporary Arts (Ica), con opere di Gabriel Orozco, Rirkrit Tiravanija, Lincoln Tobier e Andrea Zittel. A Parigi il venticinquenne Hans-Ulrich Obrist organizzava Hotel Carlton Palace: Chambre 763 – un'esposizione in una camera d'albergo. Tra queste due mostre e Aperto '93, così come in molti altre situazioni in America ed Europa, iniziò a emergere una tendenza neoconcettuale che sarebbe stata chiamata estetica relazionale – una nuova Arte povera, se vogliamo, che reagì alla magniloquenza degli anni Ottanta e adottò una modestia più in sintonia con la recessione che aveva colpito i primi Novanta. Era un nuovo clima concettuale, incendiato da un senso di gioiosa partecipazione e di condivisione spontanea. Félix González-Torres (anche lui presente ad Aperto '93) ne fu probabilmente il leader involontario, e tra i giovani artisti che mossero i primi passi in questo milieu trovarono posto, insieme a quelli menzionati in precedenza, Henry Bond, Angela Bulloch, Liam Gillick, Pierre Huyghe, Jorge Pardo e Tobias Rehberger.

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