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Questo articolo è stato pubblicato il 15 marzo 2013 alle ore 12:33.

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La questione del realismo in letteratura è sconfinata: ma soprattutto, continua a essere largamente fraintesa. Per la vulgata l'approccio realista sarebbe il "copia e incolla" di un frammento più o meno interessante di realtà: magari non la sua cronaca precisa ma comunque una sua immagine tangibile. Insomma: tanto più un libro è verosimile, tanto più è realista.

A fare chiarezza arriva uno splendido saggio di Walter Siti, che fin dal titolo rivendica l'urgenza di pensare al realismo in modo differente. Siti chiarisce subito che la metafora delle parole come specchio della realtà — di un mondo già dato e interpretato, che è sufficiente "raccontare" — è un errore capitale. L'unica arma nelle mani della letteratura è quella di uno specchio deformante, o persino un colpo di magia: il giovane Dickens che guarda la scritta di un bar attraverso la porta a vetri e invece di coffee room legge moor eeffoc, ed è colpito da quel dettaglio. Dall'esatto contrario del quotidiano.

Con una definizione magistrale, il realismo è dunque "quella postura verbale o iconica (talvolta casuale, talvolta ottenuta a forza di tecnica) che coglie impreparata la realtà, o ci coglie impreparati di fronte alla realtà". O più poeticamente, "una forma di innamoramento".
Il vero realismo cade infatti sotto l'incantesimo di una scena, di un dettaglio, e da essi estrae un mondo intero: perché li ama con "parole folgoranti che azzerano i distinguo [...], dettagli sottratti al flusso della consuetudine e gettati a illuminare il mistero". Si invaghisce degli oggetti per ciò che sono, e il loro "effetto di reale" è tanto più inutile al preteso funzionamento di una storia tanto più è autentico. In una frase, "secolarizza il mondo solo per re-incantarlo".

Questa professione di fede in un realismo che sembra quasi rovesciarsi nel misticismo è anche una dichiarazione di poetica, e aiuta a comprendere meglio l'opera dello stesso Siti — ma soprattutto, aiuta a illuminare certe zone d'ombra della narrativa contemporanea.
Le nuove correnti "pseudo-realiste" — racconti del precariato, romanzi storici, autobiografismo spinto e ritorno al romanzo psicologista — falliscono nel loro intento proprio perché vengono sedotte dall'immagine dello specchio: sono così disperatamente bisognose di documentare che dimenticano le possibilità del proprio mezzo. La dignità dell'esperienza è elevata a dignità del racconto "perché è successa davvero", "perché assomiglia alla realtà", e tanto basta.

Ma il vero scrittore realista (Stendhal, Flaubert, Zola) disvela un mondo possibile che non è mai dato come ovvio, bensì è "un intarsio traforato e instabile che può crollare in un soffio se lo scrittore appena si distrae". Il cosmo sottoposto all'incantesimo della narrazione è estremamente fragile, e non ha nulla a che vedere con il bisogno di verosimiglianza.
Siti difende dunque il realismo come fascinazione, come sporgersi: un realismo non ingenuo, che sfida fieramente il mondo invece di esserne un banale copista: l'unico, di fatto, davvero possibile.

Walter Siti
Il realismo è l'impossibile
nottetempo 2013
pp. 81, €6

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