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Questo articolo è stato pubblicato il 17 marzo 2013 alle ore 08:27.

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A Padova si tiene una mostra sul pieno Rinascimento, soprattutto nel suo particolare aspetto veneto e romano. È una bella esposizione che propone una visione di quel mezzo secolo d'oro della storia europea attraverso gli occhi di Pietro Bembo, un umanista, un patrizio e un uomo di mondo (se si potesse adoperare questa definizione settecentesca) dell'epoca di cui diciamo, il primo Cinquecento. Bembo era innanzitutto un italiano che cercò a modo suo, da uomo di lettere e di potere, di unificare la nazione. L'idea cade bene in questo momento, quando quasi nessun politico si interessa alle lettere e quando molti vogliono un'Italia regionale.
Non è questo il luogo per spiegare chi era Bembo e cosa fosse l'umanesimo: lo hanno fatto gli organizzatori della mostra in un ponderoso catalogo. Va comunque detto che Bembo fece del suo meglio per uniformare la lingua italiana rifacendosi a illustri esempi trecenteschi e compiendo, se non dei lavaggi in Arno come farà Manzoni secoli dopo, sinceri omaggi alla Toscana. Si interessò anche all'archeologia, con gusto e discernimento, e alle lingue antiche allora non del tutto morte. Nelle sue raccolte di libri, di manoscritti, di monete e di opere d'arte, scelte con grande cura, c'erano alcuni incunaboli greci eccezionali. Questi suoi interessi sono seguiti attentamente nella mostra dove si espongono molti testi a lui collegati, primi fra tutti le squisite edizioni del suo sodale Aldo Manuzio.
Il tema centrale è il rapporto del nobile veneziano con le arti. Va innanzitutto fatto presente che Bembo conobbe alcuni dei maggiori pittori dell'epoca: Giovanni Bellini, Raffaello, Michelangelo, Giorgione e Tiziano. E di questi grandi artisti si espongono alcune opere fra le quali il ritratto del protagonista di Tiziano, concesso dalla National Gallery di Washington. L'uomo diventa qui la sontuosa allegoria della misura e della saggezza: la guida dell'umanità è affidata a una sapienza distaccata ma cesarea. Il quadro è anche una magistrale lezione pittorica, Bembo ebbe fortuna nei suoi ritratti.
Ho ammirato più volte il grandioso vecchio, barbuto, che ispirava rispetto dal l'alto del cenotafio nella Basilica del Santo a Padova. Ora, per la prima volta, è possibile vedere questo marmo di Danese Cattaneo ad altezza naturale ed è l'opera di un maestro, soprattutto nella caratterizzazione del volto e nella barba fluente: sorprendentemente quest'opera, piena di vitalità, non venne fatta dal vivo. Siamo qui attorno al 1548-49 (Bembo era morto a Roma nel gennaio del 1547), stessa epoca del ritratto in bronzo di Bindo Altoviti di Benvenuto Cellini (del Museo Gardner a Boston) con cui è opportuno notare affinità e differenze né bisogna dimenticare che una delle più celebri medaglie del Cinquecento, raffigurante appunto il Bembo, è opera spesso considerata del Cellini ma ora creduta del Cattaneo. Non va qui dimenticato il prototipo di questi lavori, il celeberrimo Mosè di Michelangelo per la tomba di Giulio II, esempio anche per Jacopo Sansovino e per Alessandro Vittoria - la luce del patriarca illumina tutti.
Raffaello è splendidamente rappresentato nella mostra con l'Elisabetta Gonzaga degli Uffizi, la piccola Madonna con Sant'Anna, il Bambino e San Giovannino del Louvre e il doppio ritratto della Galleria Doria Pamphilj. Di Michelangelo si vede il Cristo in croce del British Museum, un dono dell'artista a Vittoria Colonna: si tratta di un disegno di una quarantina di centimetri ma di un immenso impatto.
Più problematica resta la scelta dei quadri di Giorgione, quattro lavori che presentano qualche difficoltà di lettura. Parlo innanzitutto di tre ritratti conservati a San Francisco, a Budapest e a Roma: nessuno di essi è in buono stato e certe durezze formali non fanno che acuire l'incertezza. Le schede di catalogo, "ingombre di erudizione" finiscono per confondere le idee e a volte si vorrebbe l'aiuto di un traduttore per capire pensieri talmente tortuosi da generare molti dubbi. Mi lascia anche molto perplesso accettare che un ritratto d'uomo firmato da Giovanni Bellini, a Windsor, rappresenti il giovane Bembo perchè la firma in una grafia corsiva ricorda i tipi di Aldo Manuzio, amico del Bembo. Come dire che una cosa è una cosa perchè assomiglia ad una cosa. Viene a mente un verso di Gertrude Stein «a rose is a rose is a rose».
Il quarto ritratto di Giorgione, a Vienna, presenta, a mio immodesto avviso, meno problemi. Nonostante lo stato di conservazione non sia perfetto il lirismo dell'insieme, la sottigliezza della immagine - il volto del giovane riflesso nell'elmo decorato con le sue figure araldiche - e la grande provenienza (Della Rovere, Hamilton, Asburgo) ci rassicurano. E poiché si parla di conservazione consiglio ai visitatori di soffermarsi ad osservare la Maddalena di Pietro Perugino di Palazzo Pitti, un miracolo di verginità.
Le arti cosiddette decorative sono ben rappresentate ma prima di dire del bene dirò del male: perché aver incluso in una mostra così scelta uno studiolo spagnolo che, nonostante appartenga al Victoria and Albert Museum, è più frutto di un revival ottocentesco che di una creazione rinascimentale? Meglio ammirare la piccola Venere in porfido di Pier Maria Serbaldi (Firenze, Museo degli Argenti) o, sempre dello stesso museo, un dono relativamente recente, il secchiello montato in oro e smalti con l'arme di Leone X che è lavoro di Valerio Belli di impareggiabile fattura.

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