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Questo articolo è stato pubblicato il 24 marzo 2013 alle ore 08:23.

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La mostra La Primavera del Rinascimento. La scultura e le arti a Firenze 1400-1460, che apre a Palazzo Strozzi a Firenze per poi trasferirsi in settembre al Louvre, rappresenta il superamento di una sfida che solo due grandi musei con grandi curatori, il Museo Nazionale del Bargello con la direttrice Beatrice Paolozzi Strozzi e il Museo del Louvre, appunto, con il "conservateur en chef" della scultura Marc Bormand, potevano affrontare. Perché se nello scrivere un libro sulle arti dell'irripetibile e felicissima stagione del Rinascimento fiorentino si può trascorrere senza sforzo da un capolavoro all'altro, nel progettare una mostra occorre individuare e convocare nella loro fisicità opere d'arte, il cui spostamento sia compatibile con la loro conservazione e con l'attrattività dei luoghi di provenienza. È ovvio, si dirà: è vero per tutte le mostre. Sì, ma per questa è particolarmente vero, dal momento che la mostra s'incentra sul primato della scultura e ha per protagonisti Lorenzo Ghiberti, Nanni di Banco, Donatello, Jacopo della Quercia, Luca Della Robbia e molti altri, posti in illuminante confronto con le pitture e le arti decorative del tempo, nonché con la grande arte dell'antichità classica e del Gotico toscano, specialmente rappresentato nella scultura dai Pisano padre e figlio.
Per presentare gli argomenti portanti, la mostra si articola in dieci sezioni a partire dall'Antichità, un riferimento di primaria importanza per la Firenze del tempo nel campo delle arti – la scultura e l'architettura che Brunelleschi e Donatello vanno a misurare a Roma – ma anche e forse prima ancora per i testi letterari e per le istituzioni repubblicane.
Ed è proprio per la consapevole fierezza dell'adesione a quegli antichi e nobili principi etici ed estetici che all'aprirsi del XV secolo inizia il genere letterario delle descrizioni e delle lodi della città, di cui si ritrova un caposaldo nella Laudatio Florentinae Urbis composta da Leonardo Bruni, uno dei primi umanisti. Nato ad Arezzo verso il 1370 ma studente e poi uomo maturo a Firenze, Bruni, più che trentenne, esordì nelle lettere latine con questo ambizioso panegirico, in cui Firenze è celebrata come stato ideale grazie all'ubicazione e al clima, al valore delle istituzioni, ma anche alla magnificenza dell'architettura e all'ingegno degli abitanti. Si crede che Bruni scrivesse la Laudatio all'aprirsi del XV secolo, fra il 1401 e il 1406: gli anni in cui – secondo un'assestata visione storico-artistica – a Firenze, centro d'Europa massimo portatore di folgorante capacità innovativa, cominciava l'avventura civile, religiosa e culturale del Rinascimento. Qui la mostra vede protagoniste le due formelle bronzee del Brunelleschi e del Ghiberti con il Sacrificio d'Isacco per il concorso della seconda porta del Battistero di Firenze del 1401 (la data che per comune consenso segna l'inizio dell'arte rinascimentale), testimonianze incluse nella mostra in via del tutto eccezionale, poiché ben di rado lasciano la loro sede. Insieme a loro, la Cupola del Duomo di Filippo Brunelleschi (grazie al modello del Museo di Santa Maria del Fiore), a rappresentare un momento fondante non solo per quelle inarrivabili creazioni in scultura e architettura, ma anche per i futuri sviluppi della codificazione della perspectiva artificialis: la prospettiva, strumento foriero di nuove e decisive interpretazioni del mondo.
Altri capolavori, che confermano il ruolo della scultura quale modello – Michelangelo avrebbe detto "lanterna" – per la pittura, sono le sculture monumentali di destinazione pubblica. Le statue di marmo o in bronzo di Donatello, Ghiberti, Nanni di Banco realizzate in sequenza eccezionale per i grandi cantieri della città (il Duomo, il Campanile, Orsanmichele, Santa Croce) dimostrano l'impegno lungimirante della Chiesa e della società, imprenditoriale e devota, nel manifestare volontà e potere e al tempo stesso nell'abbellire incessantemente la città. E divengono la prima e più alta testimonianza della creazione di un nuovo stile, strumento espressivo della trasformazione in atto, che rievoca la maestà dell'antico. Il dorato San Ludovico di Donatello, appositamente restaurato al pari di molte altre opere in mostra, contribuisce a esemplificare la sfida tecnica delle grandi fusioni.
I pittori, secondo la ricostruzione proposta dalla mostra, arrivano "dopo" gli scultori a gettarsi nella competizione, mai dichiarata ufficialmente ma vivace e creativa, con l'Antico. E saranno tra loro Masaccio, Paolo Uccello, Andrea del Castagno, Filippo Lippi forgiati – a partire da Masaccio, troppo presto morto nel 1428 – alla visione prospettica messa a punto da Brunelleschi e diffusa da Leon Battista Alberti, autori di costruzioni geometriche impeccabili, di spazialità controllate e coerenti, di figure dalle volumetrie saldissime, tornite dal chiaroscuro che sfaccetta i colori smaglianti o soavi. Chi volesse continuare l'itinerario del Rinascimento uscendo dalla mostra (e conviene farlo, avendo Firenze tutt'intorno!) può raggiungere a pochi isolati di distanza il Cenacolo di Sant'Apollonia, dove una sbalorditiva Ultima Cena di Andrea del Castagno (1447) mostra il massimo grado di potenza di questa pittura dal disegno risoluto e dalla consistenza minerale, con gli Apostoli come statue in pietre dure incastonati in una scatola prospettica tanto preziosa quanto vertiginosa.
A un diverso punto d'incontro tra la terza dimensione e il colore si colloca Luca Della Robbia, con la sua straordinaria invenzione – sviluppata all'infinito dalla sua "dinastia" di plasticatori – della terracotta invetriata, dal durevole splendore cromatico incardinato ai bianchi e agli azzurri.

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